L’anno in cui parlammo con il mare, di Andrés Montero, Edicola edizioni 2024, traduzione di Giulia Zavagna, pp. 264

Da quando nasciamo la vita intera si apre a poco a poco come una scia che presto si chiude dietro la barca, dando l’opportunità di trovare la crepa in cui giace una risposta.

Pag. 250

Un’isola situata di fronte alle coste del Cile che sembra non esistere, perché se la cerchi sulle cartine geografiche non la trovi, è il palcoscenico di un racconto intrigante e ricco di sfumature.
Leggende di patti col diavolo, campane d’oro che suonano dalle profondità marine, acque marine che prendono fuoco, e cimiteri senza corpi dove si custodisce la memoria di chi ha perso la vita in mare, creano un’atmosfera surreale, quasi magica. Al centro di questa isola, una taverna, un tempo nave, accoglie Jerónimo Garcés, un uomo segnato dal tempo e dal viaggio, che torna dopo cinquant’anni per ricongiungersi con il fratello gemello, Julián.

Il ritorno di Jerónimo Garcés su questa isola che sembra sospesa nel tempo è l’occasione per riflettere sulla fugacità dell’esistenza e sull’importanza dei legami familiari. Il tentativo di ricucire il rapporto con il fratello gemello, Julián, si scontra con le cicatrici del passato e con le inevitabili trasformazioni che il tempo ha portato. L’isola, con i suoi abitanti e le sue storie, con la sua voce corale, è testimone di un passato sepolto e di un presente inquieto e diventa un catalizzatore per questo processo di riconciliazione, invitandoci a interrogarci su chi siamo stati, chi siamo ora e chi potremmo diventare.

“Abbiamo un cimitero per le persone che possiamo seppellire. Però non abbiamo nessun posto per quelle che possiamo soltanto ricordare.”
Allora ci spiegò che questo sarebbe stato un cimitero per tutti coloro che il mare non aveva voluto restituirci.
“Un cimitero senza corpi?”
“Un cimitero per le anime,” disse la Milena. “Un cimi­tero per la memoria.”

Pag. 69

Andrés Montero, con la sua ultima fatica letteraria, in cui fonde il reale con il fantastico e il mitico (ci ho ritrovato echi del realismo magico alla García Márquez e Allende), conferma la sua maestria nel recuperare e valorizzare le narrazioni orali, quelle storie che attraversano le generazioni e plasmano l’identità di un popolo. Un tema ricorrente nella sua produzione letteraria, fin dagli esordi della sua pluripremiata carriera iniziata con Tony Nessuno, e proseguita con il successo di La morte goccia a goccia.

Ci sono parole che non rivelano il loro profondo significa­to nel momento in cui vengono pronunciate. Parole che si gonfiano come le nuvole. (..) si dissol­vono nell’orecchio, spariscono come la schiuma del mare, mentre le altre, quelle invisibili, quelle gigantesche, quelle che credevamo non celassero altro mistero che la somma delle loro lettere, hanno continuato a crescere, finché non ce la fanno più e allora cadono come un diluvio sulla me­moria, facendo scoppiare il tempo.

Pag. 73

Il ritorno di Jerónimo Garcés, dopo cinquant’anni di assenza, innesca una serie di eventi che costringono i due fratelli gemelli, Jerónimo e Julián, a confrontarsi con il loro passato e con le scelte compiute. La pandemia globale, che fa da sfondo alla storia, impone ancor più l’isolamento rispetto al continente, nemmeno la nave che portava i rifornimenti una volta al mese può più attraccare, diventa così un elemento catalizzatore, accelerando i processi interni ai personaggi e sottolineando la precarietà dell’esistenza.

L’isola è molto più di un semplice scenario. È un simbolo di radicamento, di appartenenza, ma anche di isolamento e di segreti. Rappresenta un luogo dove il tempo sembra scorrere in modo diverso, dove passato, presente e futuro si intrecciano in modo inestricabile e circolare; è il microcosmo perfetto per esplorare le dinamiche familiari, i rapporti interpersonali e il peso del passato. L’isola, con le sue leggende e i suoi segreti, è un personaggio a tutti gli effetti, un luogo che custodisce la memoria collettiva e che, al tempo stesso, è in continua evoluzione.

La dimensione temporale è fondamentale per comprendere la complessità dei personaggi e delle loro relazioni. Il ritorno di Jerónimo dopo cinquant’anni crea un contrasto tra la giovinezza e la vecchiaia, tra le speranze e i rimpianti. Jerónimo, giornalista autodidatta come lo stesso Montero, dopo anni di reportage in cui ha raccontato i luoghi del mondo, ha esaurito la sua vena di scrittura, non riesce più a mettere per iscritto ciò che vede, non trova dentro di sé le parole. Tornare sull’isola potrebbe innescare un processo di accettazione e superamento?

Il romanzo è diviso in quattro parti, legate alle quattro stagioni che raccontano il ritorno e contengono tutti i flash back che svelano il passato. Tre di queste parti sono affidate alla narrazione corale, una è il diario scritto da Jerónimo.

La scelta di affidare la narrazione alla comunità isolana si rivela particolarmente efficace. Gli abitanti, come un coro greco, hanno un ruolo terapeutico e fungono da mediatori tra i due fratelli, incoraggiandoli a riconciliarsi attraverso il racconto delle loro esperienze. Ognuno dei due, ignaro del vissuto dell’altro, porta con sé un carico di rancore che viene via via scemando attraverso il raccontare e dà loro l’opportunità di elaborare il dolore della separazione e di riconnettersi con se stessi e con gli altri. Dunque la narrazione assume un ruolo catartico, liberatorio.

Noialtri non siamo il tempo, siamo solo scintille rosse su uno sfondo rosso, cose brevi che de­vono decidere quali storie racconteranno prima di morire e quali storie ascolteranno prima di morire, che forse di poco più che questo è fatto il pezzetto di corda che ognuno di noi può chiamare vita. 79

Pag.79

La comunità, ascoltando le loro storie, diventa una sorta di testimone e di guardiana della memoria. La condivisione di queste storie, con ciò che viene detto e ciò che resta implicito, diventa un momento di unione per l’intera comunità, che rivendica così il diritto di conoscere e partecipare al destino dei due protagonisti. In questo senso, gli isolani rappresentano un ritorno a un tempo più arcaico, in cui la narrazione orale era un momento di condivisione e di costruzione dell’identità collettiva.

Alla fine una storia esiste soltanto nella forma in cui la si racconta, e noialtri volevamo che esi­stesse e non potevamo fare tanto i difficili, così abbiamo cominciato ad andare avanti, lasciando le nostre impronte nel racconto.

Pag. 105

La taverna, situata su una nave che si era arenata sull’isola durante uno tsunami, è il cuore pulsante della comunità. È il luogo dove gli abitanti si riuniscono per condividere le loro storie, i loro sogni e le loro paure. La sua posizione, sospesa tra terra e mare, sottolinea la natura ambivalente dell’isola, un luogo di confine tra il mondo conosciuto e l’ignoto.

La taverna era stata un regalo del mare. (..) Raggiunse l’isola molto tempo fa, quando don Jerónimo e don Julián erano bambini, quel giorno in cui la terra scoppiò e il mare coprì ogni cosa, proprio co­me è accaduto dieci anni fa, proprio come succederà ogni volta che il serpente delle acque e il serpente della terra si ricorderanno della loro guerra eterna.

Pag. 31

Con la sua atmosfera suggestiva, la stiva della nave è il luogo ideale per la riflessione e l’introspezione. Il suono del mare, che sembra provenire dalle profondità della terra, crea un’atmosfera ovattata e misteriosa, che invita alla meditazione.

Ci scordiamo di ogni cosa, ci sentiamo come dentro il mare, in un viaggio di andata e ritorno che arriva sempre allo stesso porto.

Pag. 32

La natura, con la sua forza incontrollabile, è un elemento fondamentale nel romanzo. Lo tsunami che ha portato la nave sull’isola, la campana affondata al tempo della conquista spagnola e il mare stesso sono tutti elementi che sottolineano la potenza della natura e la fragilità dell’uomo di fronte ad essa.

Il mito dei due serpenti, che si combattono eternamente, rappresenta una sorta di archetipo collettivo che unisce gli abitanti dell’isola. Questo mito, come tutti i miti, ha una funzione rassicurante: spiega l’origine del mondo e fornisce un senso di appartenenza e di identità.

Il mondo narrativo di Montero ha solide basi nella meticolosa ricerca sul campo e un attento ascolto delle voci che lo popolano, ed è reso fruibile ai lettori grazie ad una maestria indiscutibile nell’arte della scrittura: la vitale armonia tra questi due elementi dà vita a una trama intricata e personaggi indimenticabili con una precisione quasi scientifica. È in questa sapiente combinazione di rigore e creatività che risiede il suo genio.
Ne è un esempio la teoria dell’«ordine della festa», un’idea apparentemente semplice ma profondamente illuminante che ci invita a riflettere sul potere dell’organizzazione e sull’impatto che le sequenze degli eventi hanno sulla nostra esperienza. Montero, con la sua ironia sottile, ci mostra come anche i momenti più festosi siano governati da regole nascoste, e come sia proprio durante queste occasioni che si rivelano le nostre più profonde verità.

Il romanzo, avvolto da un’aura quasi magica, intreccia le origini mitiche, legate a un presunto patto con il diavolo da parte del padre dei due gemelli, con la connotazione terrena del ricongiungimento tra fratelli. Questa struttura circolare, che rimanda a un eterno ritorno, è un riflesso della maestria narrativa dell’autore. Autodidatta, ha affinato la sua arte studiando i racconti di famiglia, preferendo l’esperienza diretta alla teoria accademica. Questa scelta si rivela vincente: la sua capacità di dipingere scene intense, dosare i tempi narrativi e creare atmosfere avvolgenti è innegabile. Ma è la fluidità con cui tutti questi elementi si intrecciano a sorprendere, confermando la sua innata attitudine per la narrazione.

Con una prosa delicata e coinvolgente, e una scrittura attenta ai dettagli e alle sfumature del linguaggio, Andrés Montero ci immerge in un mondo vivo e pulsante, e ci conduce in un viaggio emozionante attraverso le storie di un’isola e dei suoi abitanti.
Le leggende, i ricordi e i segreti si intrecciano in un affresco vivido e commovente, che ci invita a riflettere sul valore della narrazione orale e sulla capacità delle parole di guarire le ferite dell’anima.
L’opposizione tra Julián e Joaquín, tra chi resta e chi va, tra chi è legato alla terra e chi è attratto dal mondo sconosciuto, è un tema classico della letteratura. In questo romanzo, questa dinamica viene esplorata in profondità, rivelando le complessità di un legame fraterno segnato dal tempo e dalle scelte individuali.

L’anno in cui parlammo con il mare è un romanzo che ci tocca nel profondo, ricordandoci che le storie che raccontiamo e quelle che ascoltiamo plasmano chi siamo.

Qui potete leggere l’incipit del romanzo.

Andrés Montero (Santiago del Cile, 1990) è scrittore e narratore orale, co-fondatore della compagnia teatrale La Matrioska. È autore di libri per ragazzi e adulti. Ha vinto il X Premio Iberoamericano de Novela Elena Poniatowska, il Premio Marta Brunet, il Premio Municipal de Literatura, il Premio Pedro de Oña e il Premio Círculo de Críticos de Arte. I suoi libri sono pubblicati in Cile, Argentina, Spagna, Grecia e Danimarca. In Italia, Edicola Edizioni ha tradotto il suo primo romanzo Tony Nessuno (2018) e la raccolta di racconti La morte goccia a goccia (2022). È direttore della Scuola di letteratura e tradizione orale Casa Contada.