La dimenticanza, a pensarci bene, è un’ultima carezza della vita, lo sconto di pena previsto per chi ha vissuto troppo e ha più ricordi del necessario.

Viola Ardone in Grande meraviglia ci regala un romanzo incentrato sulla relazione tra una giovane internata ingiustamente e uno psichiatra rivoluzionario. Elba, un’anima innocente intrappolata in un mondo di sofferenza, trova in Fausto Meraviglia una figura paterna e un alleato nella sua lotta per la libertà. Il loro legame, fragile e profondo, diventa il fulcro della narrazione, svelandoci le ferite profonde inflitte dalla società e le speranze di rinascita.

Il romanzo, oltre a narrare la rivoluzione psichiatrica, scava a fondo nelle radici del patriarcato e nella condizione femminile. La storia di Elba, figlia di una donna internata per infedeltà, diventa il simbolo di tutte le donne vittime di un sistema che le reprime e le marginalizza. L’approccio terapeutico di Meraviglia, oltre a liberare Elba, diventa un atto di ribellione contro una società che relegava le donne ai margini, e contro un sistema medico che spesso era complice di queste ingiustizie.

Ardone, con la sua consueta maestria e una scrittura delicata e potente, ci immerge in un’epoca di grandi cambiamenti, raccontandoci la rivoluzione basagliana e le resistenze che ha incontrato. La figura di Colavolpe, il primario conservatore, incarna le forze del passato che si oppongono al progresso.
Attraverso le vicende di Elba e Meraviglia, l’autrice ci mostra come la follia sia spesso una costruzione sociale, un modo per emarginare e punire chi non si conforma. Un romanzo che ci invita a riflettere sul nostro rapporto con la diversità e sulla necessità di costruire una società più umana e inclusiva.

Che differenza c’è tra quello che è immaginato e quello che è vero? Impazzire può essere un risarcimento, per chi non ha niente di meglio.

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