Dopo una breve pausa, riprendo oggi la rubrica dedicata alle parole che, in modo un po’ scaramantico, definisco in via di estinzione, o, nel migliore dei casi, poco utilizzate.

La prima parola di cui ci occupiamo oggi è:

Appannaggio, /ap·pan·nàg·gio/: s. m. [dal fr. apanage, der. del lat. panis «pane»; propr. «assegnazione di pane»]. 1. Dotazione o assegnazione beneficiaria di terre che nel medioevo veniva effettuata a favore dei cadetti (istituto che ebbe origine in Francia con Ugo Capeto); in seguito il termine indicò in particolare le assegnazioni fatte a favore dei principi delle famiglie regnanti (come stabiliva, ad es., per l’Italia, l’art. 21 dello Statuto Albertino nei confronti dei principi reali). 
2. per estensione: Compenso fisso, dato come stipendio o in aggiunta allo stipendio per mansioni o cariche particolari.
3. in senso figurato: a. Prerogativa, diritto esclusivoè adi chi ha il potere il trovare rimedio ai casi estremi; e in senso antifrastico: i doloritriste adella natura umana; anche nelle locuzioni darelasciare in appannaggiob. Premio spettante come coronamento di una vittoria, di una conquista.
4. In araldica, armi di a., quelle dei principi di sangue appartenenti a un ramo cadetto della famiglia sovrana.

Oggi, nel linguaggio comune, il termine ‘appannaggio’ trascende il suo significato originario, estendendosi a indicare una prerogativa, un privilegio o una caratteristica distintiva che appartiene esclusivamente a un individuo o a un gruppo ristretto.

Preconizzare, /pre·co·niẓ·ẓà·re/: v. tr. [dal lat. mediev. praeconizare, der. di praeconium «pubblico bando»: v. preconio]. – 1. Propriamente, annunciare in pubblico solennemente: in questo senso si usa ora solo con riferimento all’annuncio che il papa fa in concistoro della creazione di un vescovo o di un cardinale: il nuovo presule è stato nominato ma non ancora preconizzato2. Predire, preannunciare, profetizzare, pronosticare; si usa tuttora in frasi di tono per lo più enfatico.

Dunque un termine che potremmo definire dotto, ma, per come la vedo io, in generale, le parole che coniugano l’eleganza di un registro alto con la familiarità dell’uso comune costituiscono un tesoro lessicale di inestimabile valore. Sono strumenti raffinati che ci consentono di affinare il nostro discorso, conferendogli una precisione e una profondità maggiori. Imparare a padroneggiarle significa acquisire una competenza linguistica che ci permette di esprimerci con eleganza e persuasività in ogni contesto.

Quindi ricordiamoci di usare questo verbo che porta con sé l’idea di un’azione pubblica, di un annuncio solenne e quasi trionfale. Questa connotazione si riflette nell’uso comune del termine, che spesso lo associa a un’affermazione forte e decisa, quasi una proclamazione; possiamo usarla per dare enfasi a un annuncio che vogliamo fare arrivare ad un pubblico ampio (in famiglia, al lavoro…).

Che ne pensate? Le usate queste due parole? Vi piacciono?