Per sempre, di Richard Ford, Feltrinelli 2024, traduzione di Cristiana Mennella, pp. 360

Sono qui, vivo, per cercare di stare sempre un passo avanti alla morte, resto in vita perché mio figlio non si senta solo quando lascerà la vita. È l’unico modo in cui riesco a dare un senso a tutto quanto.

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È il quinto libro di Ford a presentare Frank Bascombe come narratore e protagonista.
In questo ultimo atto, Ford esplora la felicità e la negazione, le ambiguità dell’amore, la morte, completando la storia sociale della generazione del boom di Ford, dalla mezza età al fine vita.

In cinque romanzi, a partire dal 1986 con The Sportswriter, seguito, in una cadenza quasi decennale, da Il giorno dell’indipendenza (1995, vincitore del Pulitzer e del Pen/Faulkner Award), lo Stato delle cose (2006), la raccolta di novelle concatenate Tutto potrebbe andare molto peggio (2014) e ora Per sempre, Richard Ford ha scolpito un affresco vivido e complesso dell’America contemporanea attraverso la figura di Frank Bascombe. Un boomer alle prese con le sfide della vita – denaro, amore, figli, successo, insuccesso, dolore, morte – Bascombe è l’incarnazione dell’uomo comune, un Everyman che, tra le pieghe della sua esistenza apparentemente ordinaria, rivela le inquietudini e le contraddizioni di un’intera generazione.

Dagli anni della maturità alla vecchiaia, seguiamo l’evoluzione di questo ex giornalista sportivo, fallito scrittore e agente immobiliare, un uomo segnato da lutti, divorzi e da un’ironia amara che cela una profonda sensibilità. La saga di Bascombe, paragonabile alla tetralogia di John Updike dedicata a Coniglio, è un affresco sociale che ci parla di democrazia, stile di vita americano e della difficile ricerca di un senso ultimo.

Ford si inserisce in una lunga tradizione narrativa americana, quella che ha visto come protagonista un archetipo, l’uomo di mezza età bianco alle prese con le complessità della vita. Tuttavia, l’autore va oltre i canoni del genere, offrendo un ritratto più sfumato e complesso di questi personaggi, e interrogandosi sul ruolo stesso del romanzo nel rappresentare la società contemporanea.

In questo nuovo capitolo della saga, Richard Ford ci riporta nell’universo di Frank Bascombe, il suo iconico personaggio, per un’ultima, toccante avventura. Dopo averlo seguito nelle vesti di scrittore sportivo, giornalista e agente immobiliare, stavolta troviamo un Bascombe settantaquattrenne alle prese con un ruolo che va ben oltre le sue precedenti esperienze; abituato alle sfide della vita, si trova di fronte alla più grande e dolorosa di tutte: assistere suo figlio quarantasettenne, Paul, malato di Sla.

Paul ha contratto una forma aggressiva della malattia, e Frank lo sta guidando attraverso quelli che entrambi sanno saranno i suoi ultimi giorni, partendo dalla Mayo Clinic nella gelida Rochester, Minnesota, dove Paul è stato arruolato in uno studio sperimentale su un nuovo farmaco per due mesi. Ora il protocollo è giunto alla fine e, non sapendo davvero cosa fare dopo, Frank suggerisce un viaggio in camper, con destinazione, un monumento simbolo dell’immaginario statunitense: il Mount Rushmore nel South Dakota, con i volti di quattro grandi presidenti scolpiti nella roccia. I genitori di Frank lo avevano portato quando era bambino, e ne conserva un ricordo indelebile.
Il viaggio di due notti si trasforma in una specie di pellegrinaggio al Monte Rushmore, con arrivo previsto per San Valentino. È un viaggio che entrambi gli uomini trovano insensato e assurdo, ma in qualche modo bisogna riempire una vita, anche se sta per finire.

Il tempo narrato si riduce quindi a due giorni e due notti ma lo spazio narrativo si propaga per più di trecento pagine. Questa compressione del tempo e dello spazio immaginario è una sfida per i lettori di Ford poiché i romanzi di Bascombe di solito avanzano con un ritmo lento e molto digressivo, con molta attenzione ai diversi luoghi (dato che Frank è un agente immobiliare), agli umori, ai vari personaggi minori, e con dialoghi efficaci.
Ma ancora più impegnativa e persino dolorosa è la presenza costante di Paul, non solo perché ha problemi a deglutire, a usare una mano, a camminare e a parlare; non solo perché sta sicuramente morendo, ma perché è, sia il padre che il figlio concordano, uno “stronzo” che Frank spesso evitava prima che Paul avesse bisogno di cure.

Il rapporto tra Frank e Paul è un delicato equilibrio tra affetto e distanza. Entrambi portano le cicatrici di un passato segnato da incomprensioni e delusioni. Il dolore della malattia ha messo a nudo le fragilità di questo legame, rivelando una serie di connessioni mancate nel corso degli anni. La loro incapacità di comunicare in modo autentico, nonostante i tentativi, crea una tensione palpabile che permea ogni loro interazione.

La malattia del figlio costringe Frank Bascombe a confrontarsi con le questioni più profonde dell’esistenza: la felicità, la morte, l’amore. Tra momenti di commovente tenerezza e di rabbia impotente, Bascombe si muove in un labirinto di emozioni contrastanti, rivelando una complessità psicologica che lo rende ancora più affascinante. Parallelamente, continua a inseguire i suoi sogni, tra amori perduti e nuove relazioni, dimostrando che la vita, anche di fronte alla morte, conserva la sua capacità di sorprendere.

Subito all’inizio, nell’introduzione, Frank fa un “riepilogo” di tutto quello che gli è capitato (che basterebbe per più di un personaggio), per giungere alla conclusione che il quesito centrale a cui ora vorrebbe potere trovare una risposta, è (come gli chiedeva sua madre): sei (stato) felice, Frank Bascombe?

Come può un’idea, in letargo da tempo, risvegliarsi e tornare a essere un obiettivo che campeggia come uno striscione nella nostra vita? Essere felici, prima che cali il sipario grigio.

Pag. 27

La scrittura di Ford è un’esperienza intensa e coinvolgente che ci costringe a confrontarci con le nostre più profonde emozioni. L’autore non ha paura di affrontare temi difficili, come la malattia, la morte e la violenza, e lo fa con una sincerità disarmante. Allo stesso tempo, ci offre una profonda riflessione sulla condizione umana, sulla complessità delle relazioni interpersonali e sul nostro posto nel mondo. È un romanzo che ci invita a guardare oltre le apparenze e a scoprire la bellezza e la fragilità della vita.

Non è necessario averli letti tutti, singolarmente o in sequenza, per apprezzarlo, ma personalmente credo che conoscere meglio Frank Bascombe aiuterebbe molto ad entrare nel suo mood, specialmente in questo che si prospetta come il capitolo finale.

Qui potete leggere l’incipit del romanzo.

Richard Ford, nato nel 1944 a Jackson (Mississippi), è considerato uno dei più grandi scrittori americani contemporanei. Con Il giorno dell’Indipendenza (1995; Feltrinelli, 1996) ha vinto i due premi più prestigiosi d’America, il Pen/Faulkner Award e il Pulitzer Prize. Feltrinelli ha pubblicato anche: Rock Springs (1989), Incendi (1991), Sportswriter (1992), Il donnaiolo (1993), Donne e uomini (2001), Infiniti peccati (2002), Lo stato delle cose (2008), Canada (2013), premio Femina 2013, Tutto potrebbe andare molto peggio (2015), finalista al premio Pulitzer 2015, Tra loro (2017) e Scusate il disturbo (2021). Nel 2016 gli è stato conferito il Premio Principessa delle Asturie per la Letteratura.