Le regine rubate del Sinjar: un grido dalla storia

Le regine del Sinjar, di Dunya Mikhail, Nutrimenti 2018, traduzione dall’inglese di Elena Chiti, pp. 232, in copertina: © Hayv Kahraman

Dunya Mikhail, con il suo Le regine rubate del Sinjar, ci trasporta nel cuore di una delle pagine più oscure della storia recente. Il genocidio degli Yazidi, una minoranza religiosa curda con antiche radici in Mesopotamia, perpetrato dallo Stato Islamico nel 2014, è un crimine contro l’umanità che ha scosso il mondo. Gli Yazidi sono una delle minoranze più antiche presenti in Iraq e praticano una religione sincretica che data migliaia di anni. Sono considerati infedeli e per questo perseguitati da Daesh. Dall’agosto del 2014 migliaia di uomini yazidi sono stati uccisi arbitrariamente, le donne rapite e vendute, i bambini dai 12 anni separati dalle madri e indottrinati al fondamentalismo jihadista, interi villaggi spazzati via. A tutt’oggi sono ancora migliaia i dispersi.

Mikhail, attraverso la sua prosa poetica e incisiva, ci offre una testimonianza diretta di questa tragedia, focalizzandosi sulle donne yazide rapite e schiavizzate.

Un elemento che rende questo libro particolarmente toccante è la metafora delle api, cara all’apicoltore Abdullah. Per lui, le donne yazide sono delle “regine”, figure fondamentali per la sopravvivenza della comunità. Questa immagine poetica sottolinea non solo la bellezza e la fragilità di queste donne, ma anche il loro ruolo insostituibile nella società yazida. La scelta di definire queste donne “regine” è un gesto di riappropriazione identitaria e di resistenza. Questa metafora, oltre a essere poeticamente suggestiva, ci ricorda l’importanza di riconoscere la dignità di ogni individuo, anche nelle circostanze più estreme.

Ho conosciuto Abdullah per caso. Traduceva la mia conversazione con sua cugina Nadia che lui stesso aveva salvato. Abdullah non avrebbe mai pensato che un giorno sarebbe stato coinvolto in un lavoro pericoloso per salvare delle persone. Lavorava come venditore di miele tra Iraq e Siria. La sua esperienza come commerciante affidabile gli ha garantito l’amicizia con i mercanti siriani ed è in questo modo che ha imparato l’arabo con l’accento siriano e i suoi viaggi frequenti in Siria gli hanno permesso di conoscere le strade. Questa esperienza lo ha aiutato a salvare persone rapite in Siria. Tutto ha avuto inizio quando sua nipote Marwa è riuscita a chiamarlo da Raqqa, in Siria, per chiedergli aiuto. Allora lui si è rivolto a quei commercianti che conosceva ad Aleppo chiedendo loro cosa avrebbe potuto fare. Loro gli consigliarono di rivolgersi ai contrabbandieri di sigarette perché erano persone abituate ad avere a che fare con situazioni pericolose. Gradualmente Abdullah ha coltivato un alveare di trasportatori e contrabbandieri di entrambi i sessi per salvare ancora più persone. Hanno lavorato come in un alveare, con estrema cura e con iniziative ben pianificate. 

Intervista a Doppiozero, vedi sotto

Dunya Mikhail, poetessa irachena di fama internazionale, abbandona per un istante la poesia per immergerci in una realtà cruda e dolorosa: la sorte delle donne yazide rapite dall’ISIS nel nord dell’Iraq. Con una prosa che coniuga la forza del reportage con la delicatezza della poesia, l’autrice ci consegna un libro che è al tempo stesso un’accusa, una testimonianza e un inno alla speranza.

Il libro si articola su due piani narrativi interconnessi: da un lato, le storie delle donne yazide, vittime di violenze inaudite e costrette a una schiavitù inumana; dall’altro, la figura di Abdullah, l’apicoltore del Sinjar che, grazie alla sua rete di contatti e alla sua profonda umanità, si dedica al loro salvataggio. Mikhail, con un linguaggio semplice e diretto, ci fa entrare nelle case, nei campi e nelle menti di queste donne, restituendoci la loro dignità e la loro forza.

Le regine rubate del Sinjar è molto più di un semplice romanzo. È un documento storico, un grido di dolore e un appello alla giustizia. Mikhail ci invita a non dimenticare le atrocità commesse dallo Stato Islamico e a impegnarci per costruire un mondo più giusto e equo.

Questo libro è un’opera imprescindibile per chiunque voglia comprendere le dinamiche dei conflitti contemporanei e le conseguenze che essi hanno sulle vite delle persone. È un monito a non abbassare la guardia e a continuare a lottare per i diritti umani.

Dunya Mikhail (Baghdad, 1965) è una poetessa irachena e ha insegnato alla Michigan State University. Ha lavorato come giornalista per il Baghdad Observer ma, a causa delle crescenti minacce da parte delle autorità irachene per via dei suoi scritti, negli anni Novanta è stata costretta a trasferirsi negli Stati Uniti. È autrice di svariate raccolte di poesie in arabo sulla guerra e l’esilio, tra le quali spicca La guerra lavora duro (San Marco dei Giustiniani, 2011). È nota per aver denunciato la questione della censura in Iraq, e nel 2001 ha ricevuto il Premio per la libertà di scrittura delle Nazioni Unite.

Vi consiglio di leggere questa intervista all’autrice rilasciata a Doppiozero.