Hana, di Alena Mornštajnová, Keller editore 2024, traduzione dal ceco di Letizia Kostner, pp.300
Mi consigliavano di dimenticare, perché non volevano sentire quello che avrei potuto raccontare. Una paura inutile. Non potevo dimenticare, i ricordi sono tatuati dentro alla mia testa per sempre, come il numero sull’avambraccio sinistro. Ma dei ricordi non sarei riuscita a parlare.
Pag. 293
Il romanzo si concentra sulla storia di due donne, Hana e Mira, le cui vite sono intrecciate da un legame di parentela e da un passato doloroso. Hana all’inizio del racconto ha l’aspetto di una persona anziana, è denutrita, stranita e silenziosa; porta sul braccio i segni indelebili della sua esperienza nei campi di concentramento durante la Seconda Guerra Mondiale. Un passato infausto che non vuole ricordare, un dolore che ha segnato la sua esistenza. Mira è una bambina che dopo aver perso i genitori a causa di un’epidemia, viene affidata alle cure della zia Hana. Il loro rapporto è inizialmente difficile, segnato dalla diffidenza e dal silenzio. Ma con il tempo, tra le due si instaura un legame profondo, un sentimento di affetto che nasce lentamente, in un cuore che sembrava incapace di amare.
Il romanzo è composto da tre parti ciascuna ambientata in un periodo di tempo diverso con narratori alternati.
Nella prima parte, “Io, Mira: 1954–1963”, incontriamo Mira Karásková, una bambina di nove anni che si conquista immediatamente la simpatia del lettore autoproclamandosi disobbediente, caratteristica grazie alla quale è ancora viva.
Mira vive nella piccola città ceca di Meziříčí. Il giorno del trentesimo compleanno della madre, al tavolo con lei, il padre, il fratello e la sorella, e la strana zia Hana, Mira è in castigo per avere disubbidito. La punizione consiste nel non potere gustare i dolci – “meravigliosi, fantastici bignè alla crema con una glassa di zucchero lucida” – che zia Hana ha portato. Poco dopo la famiglia di Mira si ammala, così come il resto della città di Meziříčí. Si scopre che i dolci serviti alla festa di sua madre e tutti i prodotti della panetteria della città erano preparati con acqua contaminata. La città sprofonda così in un’epidemia di tifo e la famiglia di Mira soccombe al morbo, lasciandola orfana. Mira rimane sola al mondo, fatta eccezione per la sua enigmatica zia Hana, che, pur ammalandosi, sopravvive al tifo.
La seconda parte“Quelli prima di me 1933-1945” e la terza “Io, Hana 1942-1963”, raccontano le sorti dei famigliari di Mira, e la tragica situazione degli ebrei cecoslovacchi durante la seconda guerra mondiale e il primo dopoguerra. Nella seconda sezione del romanzo, i lettori vengono catapultati indietro nel tempo, nell’Europa occupata, quando le misure disumanizzanti e antiebraiche dei nazisti entrarono in vigore per la prima volta. L’attenzione di Mornštajnová ai dettagli storici è evidente nell’inclusione di eventi reali come la Notte dei cristalli, l’introduzione della Stella Gialla e il diffuso boicottaggio delle imprese ebraiche.
Nella sezione centrale del libro iniziamo a capire da dove proviene il senso di colpa opprimente che affligge Hana, e a capire perché porta con sé una fetta di pane, ovunque vada. Iniziamo anche a capire che i personaggi del presente hanno avuto in passato ruoli inaspettati; è nella sezione finale del libro che tali ruoli si disvelano completamente.
Abbracciando due distinte linee temporali, i lettori vengono trasportati tra la fine degli anni Trenta, gli anni Quaranta e Cinquanta di Meziříčí, gli anni della guerra in un ghetto di Terezín e il campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau. Mentre Mira scopre la verità sulla sua storia familiare, vengono svelate le ragioni del comportamento di sua zia, il suo aspetto denutrito e il tatuaggio sul polso.
Mira, quando era bambina (parliamo dell’immediato dopoguerra e degli anni Cinquanta), nemmeno conosceva il significato della parola “ebreo”, perché chi non voleva essere preso di mira si guardava bene dal dirlo apertamente; l’antisemitismo persistette dopo la guerra e fu caratteristico del regime stalinista.
Come Mira dieci anni dopo, Hana crede di essere l’unica sopravvissuta della sua famiglia. Sebbene dopo la guerra si sia riunita con la sorella a Meziříčí, Hana non è mai riuscita a superare completamente il trauma subito. Il suo senso di colpa per non aver colto l’opportunità di fuggire quando era ancora possibile e per essere sopravvissuta ai campi di concentramento è profondamente radicato. È perseguitata dalla sua decisione e si sente responsabile del destino di sua madre e dei suoi nonni.
La colpa del sopravvissuto è un tema ampiamente trattato, spesso da sopravvissuti stessi che hanno raccontato le loro esperienze per elaborare il trauma. Per costruire la sua narrazione, Mornštajnová, pur non essendo ebrea e non avendo legami personali con l’Olocausto, si è basata sulle testimonianze orali dei sopravvissuti e sulla ricerca storica sulla comunità ebraica di Meziříčí.
È importante notare che Hana non è nato come un romanzo sull’Olocausto. Nelle parole di Mornštajnová, il suo intento primario non era scrivere un’opera incentrata sull’Olocausto. Piuttosto, era alla ricerca di un mezzo espressivo attraverso cui delineare una particolare forma di alterità. Il punto di forza del romanzo risiede nell’intreccio narrativo delle storie parallele di Mira e Hana.
L’autrice mette in luce come due tragedie, distanziate di un decennio, possano generare le medesime ripercussioni psicologiche nelle due protagoniste. Sia Mira che Hana sono accomunate dal senso di colpa del sopravvissuto, ma paradossalmente diventano l’una il fulcro della guarigione dell’altra. Mira trova conforto nella piatta e ripetitiva esistenza di Hana, mentre prendersi cura di Mira infonde in Hana un rinnovato scopo di vita. Mornštajnová suggerisce che, sebbene il trauma non possa essere cancellato, il tempo e la costruzione di legami significativi possono rappresentare i più potenti strumenti di guarigione.
Di fronte a opere come questa viene da chiedersi come sia possibile che l’arte riesca a comunicare l’orrore di esperienze tanto indicibili, tanto inimmaginabilmente malvagie. Eppure, la letteratura, attraverso la narrazione, ci permette di entrare in contatto con le emozioni e le sofferenze dei personaggi, rendendo vive e dolorosamente attuali le loro storie. Se la storia ci fornisce i fatti, la letteratura ci svela cosa hanno provato le persone.
Hana, un romanzo potente e toccante, ci ricorda come il dolore e il trauma possano essere trasmessi di generazione in generazione, e come nessuna società possa dirsi immune dalla piaga della complicità.

Alena Mornštajnová è scrittrice e traduttrice. Si è laureata in inglese e ceco all’Università di Ostrava. Vive a Valašské Mezirící. Il suo romanzo d’esordio Slepá mapa è stato pubblicato nel 2013 ed è stato candidato al Czech Book Award nel 2014. Dopo il secondo romanzo, Hotýlek (2015), è giunto nel 2017 Hana che ha definitivamente lanciato Mornštajnová nel mondo della letteratura ceca. Un romanzo best seller che si è aggiudicato il Czech Book Award – sia la sezione della critica sia quella degli studenti – e che si è imposto anche all’estero ottenendo diversi premi letterari.

