I principi dello stagno Finn, di Lars Elling, 21 lettere editore 2025, traduzione di Andrea Romanzi, pp. 442, illustrazione copertina Jacopo Starace

I principi dello stagno Finn segna il fulminante debutto letterario di Lars Elling, già affermato autore, illustratore e pittore norvegese, che con quest’opera varca con successo i confini dell’arte visiva. Il romanzo intreccia le vicende di due generazioni: da un lato Filip, un adolescente degli anni Ottanta animato dal desiderio di trascendere la realtà percepita e di imprimerla sulla tela attraverso il disegno; dall’altro, il suo anziano nonno.

Attraverso sapienti flashback nella vita del nonno, il lettore è trasportato nella torrida estate che precede il primo conflitto mondiale, dove due giovani fratelli si ritrovano soli nelle selvagge foreste norvegesi, tra laghi e stagni. In questo scenario naturale di rara bellezza, ma anche di spietata durezza, si consuma un evento tragico, celato nelle profondità di uno stagno, che progressivamente svela le ragioni del loro doloroso allontanamento e del silenzio che li divide.

In bilico tra due mondi, segnati dai confini labili delle proprietà 8A e 8B, si staglia un solitario melo Starholm. Le sue radici, paradossalmente ancorate alla terra sterile dell’8B, paiono condannarlo a una stentata esistenza: rami contorti in nodi infruttuosi e fiori effimeri, spazzati via al primo sussurro di vento. Eppure, quasi a sfidare la sua stessa origine, l’albero protende i suoi rami verso il fertile prato dell’8A, dove la vita pulsa rigogliosa, stagione dopo stagione, in un tripudio di fiori, foglie e frutti abbandonati al suolo. Queste mele cadute diventano involontari protagonisti di una guerra fredda, spinte con i rastrelli da un lato all’altro, metafora silente di un’antica contesa. Due fratelli e le loro consorti, intrappolati in un eterno scontro fatto di sguardi gelidi e parole taciute.

Nella dimora dell’8A vive il fulcro di questo racconto: il Vecchio, nonno del giovane Filip, la cui voce ci guida attraverso le intricate dinamiche familiari. Filip, con la sua andatura peculiare, un arco disegnato dalla sua imperfezione fisica, osserva il mondo con la curiosità del disegnatore, ma la sua arte fatica a penetrare la superficie dei fatti, a cogliere le sfumature nascoste. Forse, intuisce, l’arte risiede in una dimensione più profonda. Anche il suo nucleo familiare appare incrinato: un padre terapeuta, quasi un osservatore clinico tra le mura domestiche, e una madre fragile, prigioniera di una sofferenza interiore. L’assenza di sua sorella Turid, un legame affettivo reciso, aggiunge un ulteriore velo di malinconia a questo quadro di silenzi e distanze.

Con il respiro affievolito dal tempo e i polmoni ormai consunti, Arnstein, giunto al crepuscolo della sua esistenza, elegge il nipote Filip a depositario della sua storia. È attraverso la narrazione del vecchio che il tempo si ritrae, conducendoci alla vigilia del primo conflitto mondiale, nelle estati fulgide del 1913 e del 1914, quando il legame fraterno con Truls, dimorante oltre la recinzione, risplendeva ancora di una rara intensità. Un vincolo singolare univa Arnstein e Truls, forgiato altresì dalla rigida e austera educazione impartita dal padre, figura severa da loro appellata con il nome imperiale di “Kaiser”. Nel suo intento di temprarne gli animi e prepararli alle avversità del vivere, l’uomo li allevava secondo un codice ferreo: disciplina e abnegazione, una profonda cognizione e riverenza per le leggi naturali, e la perpetua privazione della sazietà. La loro fanciullezza si consumava, pertanto, in un singolare crogiolo tra l’innocenza infantile e l’asprezza di un’educazione quasi militare. Durante le stagioni estive, il padre li conduceva nelle silenti foreste della Nordmarka e delle regioni limitrofe, abbandonandoli al confronto diretto con la magnificenza e la spietatezza della natura selvaggia.

Li seguiamo erranti tra laghi e stagni, osservandone l’ingegno nel concepire, talvolta con malinconica necessità, stratagemmi per catturare volatili o salmonidi, per immergersi nelle acque gelide o per trascorrere intere settimane incuranti dell’igiene. Li ascoltiamo disquisire con erudizione sui nomi latini di flora e fauna, testimoniando una notevole sapienza. Condividiamo così la meraviglia di un ambiente naturale norvegese, capace di incantare l’anima e al contempo di incutere timore reverenziale. Percepiamo, quasi fosse nostra, la sconfinata libertà di cui i due fratelli sembrano godere nel cuore della foresta, lontani dalla tutela opprimente della figura paterna.
Ma inatteso giunge un decreto paterno a infrangere quell’armonia conquistata, quella primigenia felicità; una decisione dalle ripercussioni ineluttabili e dolorose. Nelle acque quiete di uno stagno si consuma una tragedia silente, destinata a scavare un solco incolmabile tra i due fratelli. Quale oscuro evento si consumò in quel luogo?

L’anima artistica di Lars Elling vibra palpabile tra le righe, plasmando i paesaggi norvegesi in vividi quadri animati dalla forza evocativa della parola scritta e dalla fervida immaginazione del lettore. La prosa si dispiega in una sinfonia di descrizioni che ci avvolgono, immergendoci in una natura di ammaliante bellezza, capace, al contempo, di incutere un timore primordiale. Sin dalle prime pagine, siamo rapiti dalla delicata coreografia delle effimere (Ephemera vulgata), danzatrici eteree sulla superficie specchiante di uno stagno, ignare del predatore silente in agguato nelle profondità: la trota vorace. Queste creature effimere, la cui breve esistenza è tratteggiata con minuziosa attenzione, si riveleranno un fulcro narrativo inatteso, svelando gradualmente le intricate ragioni del profondo allontanamento tra i due fratelli.

Questo romanzo familiare, come traspare dalle parole dell’autore in alcune interviste, sembra intessere fili sottili con la sua stessa biografia. Un’opera che illumina la portata deflagrante di una singola decisione, la sua capacità di generare reazioni divergenti e la persistente corrosione del senso di colpa, capace di infliggere ferite profonde anche nel fluire inesorabile degli anni. Ma il testo è permeato anche da una vibrante celebrazione dell’arte, manifesta non solo nella poetica descrizione dei luoghi, ma incarnata anche nella figura di Filip. Il giovane protagonista anela a trasfondere sulla carta il suo universo interiore, tentando di affrancarsi dalla prigione degli aspetti più tangibili dell’esistenza e da un approccio analitico e logico, dominato dalla razionalità. Un percorso di crescita lo attende, un graduale apprendimento a vedere al di là della mera conoscenza, a penetrare il velo dell’apparenza.

Da un punto di vista stilistico, il romanzo appartiene al genere della letteratura introspettiva e psicologica; esplora profondamente i sentimenti, i traumi e le dinamiche familiari complesse, soffermandosi sulle motivazioni dei personaggi e sulle conseguenze delle loro azioni. Si sviluppa dunque attorno a temi universali come il senso di colpa, il perdono, la solitudine e la difficoltà di comunicare.
La prosa di Elling è ricca di immagini evocative e di una certa raffinatezza stilistica. Chi ama le descrizioni dettagliate e poetiche così come gli amanti dei misteri familiari e dei segreti, troveranno pane per i loro denti.

Qui potete leggere l’incipit del romanzo.