Il Red River del Nord, motore pulsante di storie e destini, è il cuore di La grande piena (titolo originale: The Mighty Red), l’ultimo, attesissimo romanzo di Louise Erdrich. Pubblicato in Italia da Feltrinelli con la traduzione di Silvia Rota Sperti, questo libro conferma la statura dell’autrice, già vincitrice di numerosi e prestigiosi premi. Erdrich si immerge ancora una volta nelle intricate questioni di eredità e identità, tracciando con maestria gli impatti delle ingiustizie storiche sulle disuguaglianze odierne. Un romanzo collettivo, che porta in primo piano la vibrante comunità della Red River Valley, tessendo un arazzo in cui la saga familiare si fonde con le cruciali dimensioni politiche ed ecologiche.

“Un tempo c’erano le allodole.” Si guardò attorno. “Avanti, quand’è l’ultima volta che avete sentito un’allodola? L’uccello simbolo del nostro stato. Quand’ero piccola erano ovunque, in tutti i fossi, appena uscivi un attimo dalla città cominciavano”.

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La narrazione si svolge a Tabor, North Dakota, nel periodo post-crisi finanziaria del 2008, e ruota attorno a un complesso triangolo amoroso. Ne sono protagonisti Gary Geist, giovane giocatore di football e erede di una facoltosa famiglia di proprietari terrieri; Kismet Poe, adolescente dal nome evocativo (“Destino” in Ojibwe), studentessa dotata e destinata a un percorso universitario di successo e figlia di Crystal, trasportatrice di barbabietole da zucchero per i Geist; e Hugo Dumach, un libraio introverso che cerca di trattenere Kismet regalandole Madame Bovary, sperando di instillare in lei il dubbio e allontanarla da Gary. Hugo è innamorato di Kismet da anni. È suo amico, confidente e occasionalmente suo amante – e ora che sta per sposare Gary, Hugo è determinato a sottrargliela.

Gary Geist è un giovane tormentato, la cui fragilità emotiva è legata ad un tragico incidente occorso poco tempo addietro di cui si sente responsabile, e dal peso delle aspettative dei suoi genitori nel portare avanti le attività di famiglia. La sua disperazione lo spinge a credere che sposare Kismet Poe sia la soluzione a tutti i suoi problemi. Kismet, tuttavia, non riesce neppure a concepire il proprio futuro, men che meno quello che Gary le prospetta. Una proposta di matrimonio goffa la priva della possibilità di dire “no”, intrappolandola in una fitta rete di preparativi orchestrati dalla madre di Gary. Questa figura materna, anch’ella preda di fragilità e rancori passati (i suoi genitori avevano perso la casa, la fattoria, tutto quello che avevano, che era poi stato acquistato per pochissimo dal suocero), ripone nell’unione dei due giovani un fardello di aspettative immense. Kismet si ritrova così una sposa combattuta e recalcitrante, la cui resistenza non è dovuta unicamente all’invadenza della suocera, ma anche al sentimento di pietà che prova nei confronti di Gary.

Intanto la madre di Kismet, Crystal (discendente degli Ojibwe), abbandonata all’improvviso dal compagno Martin (un attore teatrale fallito) che se ne è andato portando via tutti i soldi di casa e quelli destinati alla ristrutturazione della chiesa locale, lavora come autista di un camion che trasporta barbabietole da zucchero dai campi della famiglia di Gary, campi che erano appartenuti ai suoi avi nativi americani.

Una sera mentre guida vede passare un puma: sarà un segno funesto?

Erdrich eccelle nella caratterizzazione dei personaggi. Ho apprezzato particolarmente la figura della camionista Crystal Frechette, ritratta con grande efficacia come donna determinata e resiliente. Altrettanto affascinante è sua figlia, Kismet Poe, un’amante dei libri con uno spirito non convenzionale. Il suo cognome, scopriamo, era un tempo Poésie, accorciatosi nei decenni fino a trasformarsi in un simbolo di oscurità narrativa, richiamando alla mente figure come Edgar Allan Poe. 

Loro sapevano di non essere normali nella vita reale, in cui Crystal faceva il pane in casa non perché fosse artigianale, ma perché costava meno, dove tutti i loro vestiti erano capi scontati (..) Una volta i cittadini benestanti erano considerati normali, erano come la gente nei film.

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Crystal e sua figlia arrivano a capire di essere loro i veri americani: “gli americani scossi, in affanno e sempre indebitati. Crystal rimane convinta che lei e sua figlia troveranno un modo per risollevarsi dal loro stato di precarietà perché comunque lei ha un lavoro, una casa, per quanto modesta e malandata. Oltre al desiderio di ristabilire una tranquillità economica dopo la fuga del compagno con i soldi, quello di Crystal è anche un impulso verso l’acquisizione di un capitale culturale più consistente che persegue cercando di convincere Kismet ad andare all’università, e, nella sua quotidianità, facendo parte di un gruppo di lettura capeggiato dalla madre di Hugo, proprietaria della piccola libreria in città.

Erdrich in questo contesto sta sollevando una seria questione politica: l’alta cultura non è appannaggio delle zone più emancipate del Paese, né delle classi medie e alte, né dell’America bianca. Ha un vero valore e uno scopo democratico. Anche le opere “difficili” e “classiche” sono accessibili a chiunque, sembra suggerire. Tutto ciò che serve è che questi libri siano messi alla portata di questi potenziali lettori.

Verso la fine del romanzo, Erdrich offre un indizio significativo su come potrebbe stare cercando di posizionare La grande piena quando il club del libro si riunisce per discutere del romanzo post-apocalittico di Cormac McCarthy, La strada. L’autrice affida a Kismet le sue riflessioni:

Non credo che questo libro parli della fine del mondo. È solo l’ambientazione, per far vedere cosa succede tra le persone in situazioni estreme. Il finale parla di consolazione. Il padre va in capo al mondo per suo figlio, poi muore, soddisfatto. Cioè, è un libro molto sentimentale. McCarthy non ha paura di questo. Ed è un libro d’avventura brutale – emozionante quando trovano il nascondiglio del cibo, e poi c’è quell’esercito di cannibali.

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La grande piena non è un libro sentimentale, ma un libro che comprende il potere dei sentimenti. Né è un libro di avventure brutali, sebbene brutalità e avventura siano presenti nelle sue pagine. La sua apocalisse, i suoi cannibali, si presenta sotto forma di autodistruzione umana di massa, non da ultimo nel modo in cui Erdrich inquadra l’industria della barbabietola da zucchero:

In ogni cucchiaino si mescola il nichilismo pragmatico dell’industria dello zucchero e la fine del nostro posto sulla Terra. È questa la dolcezza che stuzzica i sensi, che luccica in una torta di compleanno e brilla sulla lingua. Prezzo garantito, gusto delizioso, un desiderio forte quanto l’amore.

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Quello che può sembrare “solo” un romanzo incentrato su un triangolo amoroso, è in realtà un libro con un più ampio respiro. Attraverso le vicende dei tre giovanissimi protagonisti l’autrice esplora le difficoltà adolescenziali in una comunità che vive attorno al lavoro nei campi, la scuola fino alle superiori, la squadra di football, la parrocchia. Il divertimento è ubriacarsi, correre in auto o sulle motoslitte, fare a gara a chi è più figo. Questi aspetti sono indagati in profondità, dando ai protagonisti spessore e credibilità. Ma, ancora, c’è dell’altro.

Tabor è una comunità agricola i cui membri lanciano girasoli invece di riso ai matrimoni, ma nel 2008, anno in cui inizia l’azione, l’agricoltura è diventata una vocazione prettamente industriale, i campi di barbabietole da zucchero e mais sono trattati con glifosati, erbicida paraquat (studi lo mettono in relazione col Parkinson), sostanze che distruggono fegato e reni, e atrazina, che contamina l’acqua dei pozzi. È un paesaggio disincantato. Persino il possente Red River del Nord, “il Nilo del Nord”, è “una insidiosa vena marrone di trifluralin, atrazina, bifenili policlorurati“.

Gli agricoltori fanno un uso sconsiderato di erbicidi per combattere le erbe considerate nocive, come ad esempio il farinello comune. Il paradosso è che in alcuni luoghi il farinello è considerato il principe degli ortaggi, una delle verdure più nutrienti mai analizzate, nonchè una delle prime colture agricole delle Americhe.

Quegli uomini si preparavano a sradicare una delle piante più nutrienti della Terra a favore della coltivazione della barbabietola da zucchero, forse la pianta meno nutriente della Terra. Dal punto di vista evolutivo, tutto ciò era esilarante.

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Pochi coltivatori, dopo aver preso atto delle conseguenze sull’ambiente, si stanno indirizzando su sistemi alternativi di controllo delle erbacce infestanti, ad esempio con l’uso di particolari coleotteri, ma sono una goccia in un oceano chi chimica velenosa.
In questa terra di saccheggio, pensieri di apocalisse sono sempre in superficie, e i personaggi sognano a occhi aperti un futuro in cui autostrade ed edifici abbandonati diventano una sorta di geologia di un paesaggio che continuerà per sempre, anche in assenza di umani.

Significativo il momento in cui Kismet affonda le mani nel mucchio di terra che era stato scavato per costruire la nuova casa che Gary aveva voluto per il matrimonio. Quella terra non era mai stata coltivata, non aveva assorbito i veleni chimici:

Era una manciata densa, ricca come cioccolato (..) Era terra che non era mai stata arata. Terreno vero. Questo soprassuolo era profondo sei metri. In alcuni punti, quello del Red River era arrivato originariamente fino a diciotto metri. Tutto gioiva in quella materia divina. Potevi infilarci dentro un bastone, che sarebbe cresciuto.

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Il Red River attraversa terre “tolte ai Dakota, agli Ojibwe, ai Métis, con trattati forzati“. I “popoli originari” divennero dipendenti “sulla terra che un tempo possedevano“. Erdrich offre una cruda visione dello sfollamento, non solo dei proprietari originari, ma anche dei braccianti agricoli migranti, le cui case vengono “bruciate e il terreno spianato al laser per far crescere qualche filare in più” dai proprietari terrieri bianchi.

Kismet ansimò all’improvviso, trafitta di dolore man mano che prendeva consapevolezza. Ormai aveva visto molte cose: la terra impoverita, i filari perfetti di colture senza insetti né erbacce. Aveva parlato con Diz di come si otteneva quella perfezione. Ora lo vedeva. Praticamente tutto quello che facevano lei e i Geist, e persino il lavoro di sua madre, stava distruggendo ciò che aveva appena osservato, l’intreccio della creazione.

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Erdrich si tuffa nel lontano passato, raccontandoci la geologia della regione, la sua storia agricola, il destino di mandrie di bufali così vaste che ci volevano tre giorni per vederle passare e che sono state cacciate fino all’estinzione, lasciando ettari di terreno ricoperti di ossa. Alla fine dell’800, si scopre che bruciare quelle ossa produce un carbone animale, “Pigmento Nero 9”, che poteva essere utilizzata per raffinare lo zucchero grezzo ricavato dalla canna da zucchero (“lo zucchero degli schiavi”). ecco allora che montagne di ossa, teschi, vengono caricati su vagoni ferroviari e spediti all’industria della lavorazione dello zucchero.

E poi lo sfruttamento dei giacimenti petroliferi, altro paesaggio violentato e trasformato in un nero scenario da apocalissi. Per arricchirsi e rubare Kismet a Gary, Hugo accetta un lavoro in una compagnia petrolifera, che con i carotaggi nel terreno scava attraverso i millenni per estrarre l’oro nero. Erdrich etichetta le numerose sostanze chimiche tossiche coinvolte in questa attività, alludendo al loro impatto sulle riserve idriche.

Con il diffondersi dei veleni e i loro terribili effetti, i personaggi prendono coscienza dei cambiamenti catastrofici: i terreni distrutti dalle sostanze chimiche assumono una consistenza insolita, uccelli e insetti spariscono del tutto, e le fiamme dell’estrazione petrolifera si alzano sinistre verso il cielo. Questa è la cornice che inserisce una storia intima nelle vaste correnti del tempo, sintetizzata dal pensiero di Crystal: “Come il grande fiume rosso, la storia è stata una grande piena.”

E pensare che già nel lontano 1962 la zoologa Rachel Carson nel suo famoso libro Primavera silenziosa, divenuto un manifesto globale per gli ecologisti, denunciava la scomparsa degli uccelli e dei loro canti a causa dell’uso sconsiderato di DDT e pesticidi.

Parallelamente a queste problematiche, Erdrich esplora gli atteggiamenti retrogradi nei confronti dei ruoli di genere in una comunità rurale americana dominata dalla Chiesa cattolica, e i modi insidiosi in cui razza e classe si intrecciano per produrre profonde disuguaglianze di opportunità e potere.

La grande piena è un romanzo potente e stratificato, che saprà conquistare chi cerca una storia profonda, ricca di personaggi complessi e di una critica sociale ed ecologica acuta. È un titolo imperdibile per gli amanti della narrativa corale, delle saghe familiari e per chi apprezza un’autrice capace di esplorare con maestria le ferite del passato che ancora oggi plasmano il presente.

Qui potete leggere l’incipit del romanzo.

Portrait of Native American writer Louise Erdrich, Minneapolis, Minnesota, 2015. (Photo by Chris Felver/Getty Images)

Louise Erdrich autrice di numerosi romanzi, poesie, racconti, libri per l’infanzia e un memoir sulla sua precoce maternità.
Molto premiata per la sua opera, è unanimemente considerata una delle più importanti scrittrici americane contemporanee.
Tra i suoi libri pubblicati in Italia ricordiamo: Medicina d’amore (Mondadori, 1985), Tracce (Feltrinelli, 1992), La casa di betulla (Feltrinelli Kids, 2006), Passo nell’ombra (Feltrinelli 2011), La casa tonda (Feltrinelli, 2013, vincitrice del National Book Award 2012), Il giorno dei colombi (Feltrinelli, 2016, finalista al Premio Pulitzer 2009 ), La casa futura del Dio vivente (Feltrinelli, 2018) e LaRose (Feltrinelli, 2018).
Nel 2021 vince il Premio Pulitzer per la narrativa con il libro The Night Watchman, pubblicato in Italia da Feltrinelli con il titolo Il guardiano notturno.

Louise Erdrich è nata il 7 giugno 1954 a Little Falls, in Minnesota, prima di sette figli, di Ralph Erdrich, un tedesco-americano, e di sua moglie Rita Joanne (nata Gourneau), metà franco-americana e metà Ojibway (chiamati impropriamente dai bianchi Chippewa). I suoi genitori insegnarono in un collegio in North Dakota, e il nonno materno, Patrick Gourneau, fu presidente tribale per la Turtle Mountain Band of Chippewa Indians.
Fin da bambina Louise sviluppò una forte passione per la scrittura, incorraggiata dal padre che gli regalava un nichelino per ogni racconto concluso.
In seguito Erdrich si perfezionò studiando letteratura inglese e frequentando il corso di scrittura creativa della John Hopkins. Nel 1981 sposò lo scrittore e antropologo Micheal Dorris, allora direttore del nuovo programma di studi sui nativi americani. I due scrissero molti romanzi a quattro mani fino al divorzio, avvenuto nel 1995.

Oggi Louise Erdrich vive in Minnesota con le figlie, ed è proprietaria di una libreria indipendente, la Birchbark Books, che si occupa principalmente di letteratura dei nativi americani.