Chiudo la porta e urlo di Paolo Nori, Mondadori 2024, pp. 204

Chiudo la porta e urlo di Paolo Nori – candidato al Premio Strega 2025 – sfida le etichette tradizionali. Non è una biografia nel senso classico, né un romanzo convenzionale. È piuttosto un flusso ininterrotto di pagine che si rincorrono in un susseguirsi di frammenti e declinazioni di temi, capaci di sorprendere e divertire il lettore attraverso continue digressioni, citazioni e parentesi che si aprono e si chiudono.

Nori ci trascina in un viaggio narrativo che si sviluppa per repentine virate tematiche, le quali, a un primo approccio, possono disorientare per la loro apparente arbitrarietà. Ma è proprio addentrandosi nel testo che si rivela una sottile ma profonda trama di senso, capace di connettere ogni frammento a una riflessione più intima e complessa. Con la sua voce inconfondibile, l’autore instaura un dialogo complice col lettore, guidandolo attraverso inattesi scivolamenti di registro e argomenti. Ci si ritrova così a sorridere per punte di ironia tagliente, o a commuoversi di fronte a spaccati di sincera autobiografia. Non mancano poi confessioni personali, slanci lirici e attimi di pura emozione, insieme a dichiarazioni d’amore sussurrate – e per questo capaci di risuonare con una forza ancora maggiore – dedicate alla sua famiglia e all’amata Parma. A legare il tutto, una vasta e quasi travolgente devozione per la poesia e la lettura, che permea ogni singola pagina.

Centrale in questa architettura narrativa sono i versi di Raffaello Baldini, che trovano ampio spazio e sono accompagnati dai commenti acuti di Nori, il quale si presenta anzitutto come un lettore affascinato e partecipe. Altri versi si affiancano a frammenti che raccontano altro: la vita e il lavoro di Nori, i suoi affetti, le figure di altri autori che hanno segnato profondamente il suo percorso (Achmatova e Dostoevskij in primis). Il tutto è intessuto con osservazioni sul presente, ricordi personali ed esperienze editoriali.

Difficile, dunque, definire Chiudo la porta e urlo semplicemente un romanzo, appare più come un flusso di coscienza dove frammenti di vita, pensieri e poesie si rincorrono, creando un dialogo intimo e sorprendente. La sua forma ibrida suggerisce piuttosto di partecipare a una lunga e coinvolgente chiacchierata con Paolo Nori. Questa sensazione è amplificata dalla scelta di uno stile recitato, che riproduce fedelmente il parlato, e che ben si adatta alla rappresentazione teatrale. Si ritrovano le ridondanze tipiche della conversazione, gli anacoluti, una sintassi franta e tematizzata, le ripetizioni, un lessico quotidiano e amichevole.

La sua scrittura è un flusso parlato, ricco di ridondanze, anacoluti e un lessico quotidiano che riproduce l’immediatezza di una chiacchierata informale. È una lingua viva, che “del dialetto trattiene l’intimo ritmo, le cadenze interiori”, proprio come quella di Baldini, e che Nori stesso descrive come “molto a che fare con l’italiano che si parlava a Parma”.

Questa sua ricerca stilistica e filologica si lega indissolubilmente a una profonda ricerca esistenziale: il continuo interrogarsi su “Quand’è che si vive?”. E la risposta, a volte, la si trova proprio in quei momenti semplici e meravigliosi che la poesia di Baldini sa cogliere. Il risultato è un libro allegro e disperato allo stesso tempo, un vero atto di fede nella letteratura che ci fa ridere, pensare, sognare e commuovere. Insomma, un libro che, nella sua particolarità, si rivela una vera benedizione per l’anima.

Che poi mi succede di rado, e non sente nessuno,
nella camera cieca, di sotto, tra i panni sporchi,
chiudo la porta e urlo. Dopo sto meglio.

Il titolo Chiudo la porta e urlo fa riferimento ai versi sopra citati del poeta Raffaello Baldini, a cui il libro è dedicato. Il verso, e quindi il titolo, suggerisce un comportamento di chiusura e riservatezza, un modo di affrontare il dolore o la sofferenza in solitudine, senza ostentazione, “chiudendo la porta e urlando”. Il titolo, dunque, riflette l’idea di un dolore privato, non urlato al mondo, ma vissuto in intimità, come un atto di auto-protezione o di elaborazione personale. Nori, nel suo libro, utilizza questa immagine per esplorare temi come l’identità, la memoria, la solitudine e il rapporto tra letteratura e vita, riflettendo sulla condizione umana e sulla ricerca di significato. 

Paolo Nori (Parma, 1963), laureato in letteratura russa, ha pubblicato romanzi e saggi, tra i quali Bassotuba non c’è (1999), Si chiama Francesca, questo romanzo (2002), Noi la farem vendetta (2006), I malcontenti (2010), I russi sono matti (2019), Che dispiacere (2020) Sanguina ancora (2021) e Vi avverto che vivo per l’ultima volta (2023). Ha tradotto e curato opere, tra gli altri, di Puškin, Gogol’, Lermontov, Turgenev, Tolstoj, Čechov, Dostoevskij, Bulgakov, Chlebnikov, Charms.