Il solo vero viaggio, il solo bagno di giovinezza, non sarebbe quello di andare verso nuovi paesaggi, ma di avere occhi diversi, di vedere l’universo con gli occhi di un altro, di cento altri, di vedere i cento universi che ciascuno di essi vede, che ciascuno di essi è.

È un momento di profonda riflessione del narratore, che, imprigionato nella sua gelosia e nella sua incapacità di comprendere Albertine, giunge a questa illuminazione sul vero senso della scoperta e della conoscenza. Il Vero Viaggio non è Esterno: Proust rovescia la concezione tradizionale del viaggio come spostamento fisico. Il vero arricchimento non si trova nel cambiare luogo, ma nel cambiare prospettiva.
Occhi Diversi: Questa metafora potente indica la necessità di superare la propria visione limitata e soggettiva per tentare di abbracciare le percezioni altrui. È un invito all’empatia intellettuale.
Cento Universi: Ogni individuo non solo vede il mondo in modo unico, ma è quel mondo che percepisce. Questo sottolinea la profonda soggettività della realtà per Proust. Comprendere gli altri significa accedere ai loro “universi” interiori, un’impresa ardua e spesso impossibile, ma necessaria per una conoscenza più completa.
Bagno di Giovinezza: Questa espressione suggerisce che l’apertura a nuove prospettive non è solo conoscenza, ma anche una forma di rinnovamento vitale, un modo per mantenersi mentalmente freschi e aperti al mondo, sfuggendo alla fossilizzazione della propria visione.

Questa citazione è un fulcro del pensiero proustiano sulla natura della percezione, della conoscenza e dell’alterità. Incarna la sua incessante ricerca di ciò che è al di là della superficie delle cose e delle persone, e la dolorosa consapevolezza dei limiti della nostra capacità di conoscere pienamente.

dalla copertina dell’edizione Einaudi del 1950

La prigioniera è il quinto volume de La ricerca del tempo perduto. Pubblicato nel 1923, questo è il primo volume dell’opera ad essere pubblicato dopo la morte dell’autore, avvenuta nel 1922. Proust non riuscì nemmeno a vedere le bozze di stampa. Il romanzo si distingue come uno dei vertici più intensi e claustrofobici dell’opera. In questo romanzo, Marcel, il narratore, vive ormai stabilmente con Albertine a Parigi, in un ménage a tre che include la perpetua ombra della gelosia.

Il libro è un’analisi microscopica e quasi ossessiva della relazione tra Marcel e Albertine. Il narratore, ossessionato dal timore che Albertine lo tradisca, la tiene letteralmente prigioniera nel proprio appartamento, dedicandosi a un’indagine incessante e snervante sulle sue abitudini, i suoi incontri, e soprattutto la sua presunta omosessualità. Questa condizione di “prigionia” è tanto fisica per Albertine quanto psicologica per Marcel, intrappolato nelle spire della sua stessa angoscia e del desiderio di possesso.

Ciò che rende La prigioniera un capolavoro è la straordinaria capacità di Proust di sondare le profondità della psiche umana. La gelosia viene vivisezionata con una precisione chirurgica, mostrandone le sue infinite sfumature: dal sospetto più sottile alla paranoia più acuta, dall’amore più tenero alla crudeltà più raffinata. Ogni dettaglio, ogni parola, ogni sguardo di Albertine viene interpretato e reinterpretato in un vortice di dubbi e auto-tortura.

Accanto a questa disamina psicologica, Proust continua la sua esplorazione dell’arte e della bellezza. Le celebri pagine dedicate alla musica di Vinteuil e alla pittura di Elstir, con la loro capacità di evocare mondi e sensazioni al di là del linguaggio, offrono momenti di sublime evasione dalla soffocante atmosfera della gelosia. È attraverso l’arte che il narratore cerca una forma di trascendenza, un rifugio dalle miserie della vita quotidiana e dalla sofferenza emotiva.

Lo stile di Proust, con le sue frasi lunghe e sinuose, ricche di metafore e divagazioni, richiede una lettura attenta, ma ripaga con una profondità e una bellezza rare. La prigioniera è un’opera che, pur essendo dolorosa nella sua onestà sulla natura umana, è essenziale per comprendere appieno la visione proustiana dell’amore, della perdita e della ricerca del tempo perduto attraverso la memoria e l’arte.

E così, per il fatto che non riuscivo a mettermi al posto d’Albertine, per il fatto che non potevo afferrare il suo vero io, io vedevo solo la mia angoscia e la mia gelosia, come se fossero la realtà. E forse non c’era realtà, se non quella che non riuscivo a vedere, quella che non era fatta per i miei occhi.

Ritratto di Alaide Banti sul divano rosso, Giovanni Boldini, 1885