La fila alle poste, di Chiara Valerio, Sellerio editore 2025, pp. 384
La verità è un vestito troppo largo, ci entra la mano, il braccio, le spalle, eppure siamo noi a volerci muovere in un’altra direzione.
La fila alle poste di Chiara Valerio si sviluppa come un’ulteriore immersione in un universo narrativo che l’autrice ha iniziato a costruire con Chi dice e chi tace. La recensione del nuovo libro non può prescindere, infatti, dal suo predecessore, poiché i due romanzi sono strettamente legati da una fitta rete di rimandi, personaggi e atmosfere. Chiara Valerio torna qui ad esplorare temi come il lutto, il cambiamento e la ricerca di sé, attraverso la storia di Lea, un’avvocata che vive a Scauri e si confronta con l’assassinio di una bambina, Agata Palmieri.
Il legame indissolubile con Chi dice e chi tace
La fila alle poste è un vero e proprio sequel. Non solo riprende la stessa ambientazione, la provincia di Scauri, ma riporta in scena la protagonista, l’avvocata Lea Russo e tutti gli altri personaggi. Se in Chi dice e chi tace il fulcro della narrazione era la misteriosa morte di Vittoria, una donna libera e affascinante che aveva scosso l’intera comunità, qui l’ombra di Vittoria è ancora presente, sebbene in modo diverso. La sua assenza non è un vuoto, ma un catalizzatore di domande e di una nuova energia per Lea. La vita di Lea, che sembrava aver ritrovato un suo equilibrio dopo gli eventi del primo romanzo, viene nuovamente messa in discussione. La morte di Vittoria ha lasciato in lei una traccia indelebile, un’ossessione, un desiderio inespresso che ora, con la morte di una bambina torna a farsi sentire con forza.
L’avvocata si trova ad affrontare un nuovo caso, quello della madre della piccola Agata, accusata dell’omicidio. Ma l’indagine non è solo un’indagine giudiziaria; è, ancora una volta, un viaggio interiore. Chiara Valerio utilizza il meccanismo del giallo, ma lo fa per sovvertirlo. Il vero crimine da risolvere non è tanto chi ha ucciso la bambina, ma il desiderio nascosto che continua a tormentare Lea e gli abitanti di Scauri. Il colore giallo del genere si fonde con l’azzurro del mare di Scauri, creando una narrazione che è più letteraria che di genere. Non c’è un’unica verità da svelare, ma una pluralità di prospettive, di dubbi e di non-risposte che rendono il romanzo un’indagine sulla natura umana e sui suoi enigmi. Il tema centrale del romanzo ruota attorno all’assunto che la verità non è qualcosa di statico e definito, ma un concetto sfuggente e interpretabile. I personaggi, in particolare Lea, si muovono al suo interno senza mai afferrarla del tutto, spesso preferendo ignorarla o distorcendola per conformarsi ai propri desideri o alla propria percezione delle cose.
Nel romanzo la maternità non è un’esperienza monolitica, ma un prisma attraverso cui si riflette la complessità dell’animo femminile. Giovanna è la madre messa al banco degli imputati, il cui ruolo è ribaltato in un’accusa che la società non perdona. A lei si contrappone Lea, la madre che osserva e teme costantemente di non essere all’altezza, vivendo la maternità come un’ansia perenne e un’ombra incombente.
In questo intricato panorama, emergono le suore, figure di madri surrogate, la cui cura è ambigua, sospesa tra devozione e un controllo morale soffocante. E poi ci sono le figlie, testimoni spietate che con una lucidità disarmante registrano ogni sfumatura, ogni fallimento e ogni segreto, preparandosi a ereditare un’identità complessa e stratificata.
In parallelo a questa indagine sulla maternità, il romanzo esplora i molteplici ruoli sociali delle donne in una piccola comunità ancora ancorata a schemi rigidi. Le donne sono costrette a definirsi in base a funzioni precise: c’è chi accudisce e chi cura, chi giudica e mantiene l’ordine morale del paese, e chi, come Giovanna, cerca di scappare da un destino prestabilito. Tutte queste donne, pur partendo da una condizione di partenza simile, cercano e trovano un proprio spiraglio di libertà, un modo per costruirsi un’identità al di fuori delle strette maglie della tradizione.
Scauri e la provincia: uno specchio della società
Si può desiderare cambiare vita scivolando verso il brutto e il meno, e il peggio? Ognuno desidera ciò che non ha, anche se è molto meno di ciò che possiede? Il desiderio è un movimento o una cosa? Eravamo il peggio o rappresentavamo, per chi viveva in queste case, un’idea di semplicità? Eravamo l’Eden? L’Eden era un posto di finestre abusive, cani e gatti randagi schiacciati dalle ruote delle automobili che di notte correvano troppo? (..) A ciascuno il suo paradiso.
Pag. 168
Scauri, il paese tra Roma e Napoli, non è un semplice sfondo, ma un personaggio a tutti gli effetti. Come in Chi dice e chi tace, Valerio continua a descrivere una provincia che si finge morta, ma che in realtà vive. È un luogo di misteri e di “quotidiane amare dolcezze”, dove tutti sanno tutto di tutti, dove le dicerie e i pettegolezzi sono parte integrante della vita quotidiana. La comunità di Scauri accoglie e consola, ma allo stesso tempo vigila e spia, diventando sia un rifugio che una prigione.
L’autrice esplora con maestria le dinamiche sociali e la psicologia dei suoi personaggi. La “fila alle poste” del titolo non è solo un luogo fisico, ma diventa una metafora: un momento di attesa, di introspezione, dove l’anima di ognuno si svela, dove si nascondono desideri e pensieri segreti. È in questi momenti di sospensione che emergono i temi più profondi del romanzo: la maternità, la colpa sociale, la cura che può diventare un peso, l’identità sfuggente e la verità che si perde nel frullatore del ricordo e delle interpretazioni altrui.
Stile e struttura
Lo stile di Chiara Valerio è inconfondibile: una scrittura vibrante, veloce e allo stesso tempo elegante. La narrazione è un flusso di pensieri, considerazioni e digressioni che possono piacere o meno. L’autrice si concede infatti, per voce della protagonista Lea, molte digressioni, riflessioni e salti temporali che possono rallentare il ritmo. Chi cerca una lettura veloce e di facile consumo potrebbe trovare lo stile di Chiara Valerio troppo denso e, a tratti, contorto. La sua scrittura è fatta per essere assaporata, non divorata.
La fila alle poste è un romanzo che non offre facili soluzioni. Il lettore è chiamato a fare i conti con i dubbi, le ambiguità e le domande che l’autrice lascia aperte. È un libro sulla collettività e sulla solitudine, sull’amore e sul dolore, sulla vita che va avanti anche quando le persone che amiamo non ci sono più. È la conferma di una scrittrice che, con Chi dice e chi tace, ha saputo creare un mondo letterario ricco e profondo, che in La fila alle poste non smette di estendersi e di raccontare, attraverso la provincia, le crepe e le contraddizioni dell’essere umano.
Capita che i libri di Chiara Valerio dividano il consenso del pubblico. O si amano o si detestano. Il libro piacerà a chi cerca un romanzo che utilizza la struttura del giallo come pretesto per esplorare temi più complessi e profondi come la psicologia dei personaggi, le dinamiche sociali e la natura umana. Come ha detto Marco Malvaldi, “Sembra un giallo, è una storia d’amore.”
Non piacerà a chi cerca il giallo classico in stile Agatha Christie o i thriller che puntano tutto sul colpo di scena finale. Alcuni critici lo definiscono un “giallo esistenziale”, un romanzo che spiazza il lettore, lo invita a rallentare e a guardare oltre la superficie. I personaggi sono così ben costruiti che diventano familiari, ma rimangono, in fondo, “insondabili”.
Se il lettore è interessato a un’analisi profonda e non stereotipata della vita di provincia, delle sue contraddizioni, dei suoi silenzi e delle sue ipocrisie, questo romanzo è perfetto. Scauri non è solo uno sfondo, ma un vero e proprio personaggio, e il libro ne dipinge un ritratto vivido e veritiero. Però chi non ha letto il primo romanzo si troverà spaesato, perderà molti riferimenti, non capirà appieno le motivazioni dei personaggi e il peso del passato che li tormenta. La storia, i personaggi e l’ambientazione sono così profondamente legati al libro precedente che leggerlo senza quel contesto, secondo me, sminuisce l’appeal della trama.
Il romanzo non offre una catarsi emotiva né risponde a tutte le domande. Alcuni misteri rimangono insoluti, lasciando il lettore con la sensazione che la vita, proprio come nella realtà, non sempre offre risposte definitive. Se si cerca un libro che chiuda tutti i fili della trama in modo ordinato, questo non è il romanzo giusto.
Le cose col tempo perdono consistenza. Le cose d’amore, tra una persona e l’altra, quando si resta soli per una morte, una separazione, la scomparsa di una abitudine, si sgretolano. Ciò che è accaduto, ciò che non è accaduto, ciò che sarebbe potuto accadere, ciò che si è desiderato accadesse, diventa la stessa cosa. A tre anni dalla morte di Vittoria, non sapevo più se avevamo vissuto o avremmo potuto vivere un amore.
Pag. 279
Qui potete leggere l’incipit del romanzo.



L’ho messo in lista. Leggerò prima quello che lo precede.
Siamo a livello del primo carofiglio?
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Somiglianze e divergenze, ma di qualità
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Ok. Grazie
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