Se c’è una cosa curiosa nella nostra lingua è che certe parole sembrano essersi perse per strada insieme ai cavalli bardati e ai giardini medievali: è il caso di gualdrappa e brolo. La prima ci catapulta tra destrieri decorati e parate da romanzo cavalleresco; il secondo, invece, ci fa spuntare in un orto recintato del XII secolo, dove un frate controlla se le mele sono mature. Due mondi lontani, direte. Eppure entrambe sono parole che sopravvivono come piccole capsule del tempo: una racconta come vestivamo i cavalli, l’altra come ci costruivamo la tranquillità. E forse anche questo è il bello: la lingua custodisce dettagli che nessuno ha chiesto, ma che ci fanno sentire, per un attimo, un po’ più nobili o un po’ più monastici. A scelta.

Gualdrappa, /gual·dràp·pa/: Drappo riccamente ornato, posto sulla groppa del cavallo, sotto la sella.
La gualdrappa è quella coperta decorata che si mette sul dorso dei cavalli. Quella che, nelle parate o nei film/serie di ambientazione medievale, svolazza un po’ mentre il cavaliere entra in scena facendo il serio. Se volessimo tradurre in stile “modern slang”, potremmo dire che è il capa-outfit del cavallo. Un accessorio fashion, insomma.

L’etimologia è più esotica dei colori che sfoggiano alcune gualdrappe moderne: viene dal francese gaule drap, che significava più o meno “stoffa di Gualdia”, una regione delle Fiandre medievali nota per i tessuti. Attraverso varie trasformazioni e italianizzazioni (e un paio di colpi di forbice linguistici), è diventata la nostra gualdrappa. Insomma, una parola che si porta dietro una storia di commercio, cavalli, e probabilmente qualche doganiere infreddolito.

La gualdrappa non è solo roba da maneggio: ha fatto una discreta carriera anche nella letteratura italiana.
Per esempio, Ariosto nell’Orlando Furioso ci ricama sopra più di una volta — e non sorprende, considerando che lì i cavalli sono glam quasi quanto i paladini.
E se passate da Manzoni, troverete cavalieri con gualdrappe che scintillano come se avessero appena fatto un salto dal sarto dei Gonzaga. Insomma: se c’è un cavallo importante in scena, quasi sicuramente avrà la sua brava gualdrappa.

Al giorno d’oggi compare nei contesti equestri, negli spettacoli storici, e ogni tanto la rispolvera qualche scrittore che vuole fare il brillante (non sempre con risultati degni di applauso) in senso ironico e giocoso.

Brolo, /brò·lo/: orto, frutteto, bosco, boschetto.
Una parola che sembra uscita da un documento del 1200, scritto da un notaio con l’inchiostro appena secco e la pazienza sicuramente finita: brolo. Una di quelle che senti e ti immagini subito un monaco che pota un pero canticchiando in latino maccheronico. Ma cos’è, in sostanza, un brolo? Il brolo è un orto–giardino recintato, tipico delle case medievali, dei conventi e spesso delle zone rurali del Nord Italia e Toscana.
Non un giardino qualsiasi: uno spazio chiuso, protetto, dove si coltivavano erbe, frutti, qualche verdura e — quando andava bene — un po’ di pace. A chi abita a Milano, o ha visitato la città, sarà capitato di passare vicino all’università Statale, dove c’è una piazzetta con chiesa medievale (una delle più antiche in città) che si chiama San Nazaro in Brolo, ad esempio.

Questa parola così bucolica ci arriva dal latino medievale broilus / brolium, che indicava un boschetto o uno spazio recintato. Più indietro ancora, pare ci sia la mano dei Franchi (e della loro parola brogil, “piccolo bosco recintato”). Insomma, il brolo è un luogo che nasce già con delle siepi… anche linguistiche.

Il brolo fa capolino in vari testi antichi, specialmente nelle cronache e nei documenti notarili: è la star dei contratti di compravendita del 1100 (“una casa con brolo e pozzo”), ma anche di certe descrizioni poetiche un filo pastorali. Diciamo che se Dante avesse avuto un brolo nella sua Firenze, ci avrebbe infilato almeno una terzina sulle sue pere miracolose.

Si usa ancora soprattutto in Veneto, Lombardia, Trentino, Emilia — e in certi toponimi che resistono testardamente ai secoli (“via del Brolo”, “Corte del Brolo”, come dicevo nell’esempio sopra a Milano.).
Oggi può significare sia giardino, sia orto domestico, con quell’aria un po’ d’antan che fa subito “medieval influencer”.

Che mi dite di queste due parole dal profumo antico?