Serpentine, di Bov Bjerg, Keller editore 2025, traduzione di Franco Filice, pp. 256

In Serpentine Bov Bjerg affida a un viaggio apparentemente ordinario la materia più instabile del romanzo contemporaneo: l’eredità familiare. Un padre guida attraverso le strade tortuose della Svevia insieme al figlio di sette anni, tornando nei luoghi della propria infanzia. La cornice narrativa è minima, quasi dimessa, ma funziona come un dispositivo di scavo: ogni curva diventa un varco nella memoria, ogni sosta un confronto con ciò che si è ricevuto senza averlo scelto.

Il romanzo procede per stratificazioni più che per sviluppo lineare. Al presente del viaggio si sovrappongono ricordi d’infanzia, figure parentali, episodi che compongono una genealogia maschile segnata dalla ripetizione del dolore e dall’incapacità di nominare la sofferenza. Il ritorno non ha nulla di nostalgico: è piuttosto un tentativo di misurazione, un inventario emotivo che il protagonista compie per capire se e come sia possibile sottrarsi a una trasmissione distruttiva.

Il tema centrale è la paternità, osservata non come ruolo ma come problema etico. Bjerg racconta un padre che cerca di essere diverso dai propri predecessori, ma che scopre quanto il passato continui a esercitare una forza gravitazionale. Il rapporto con il figlio, presenza silenziosa e mai sentimentalizzata, introduce una tensione decisiva: la possibilità, fragile e incerta, di interrompere la catena.
Accanto a questo, il romanzo affronta con lucidità il tema del suicidio e della violenza latente che attraversa le biografie maschili, senza mai cedere alla spettacolarizzazione del trauma.

La scrittura di Bjerg è uno degli elementi più notevoli del libro. Asciutta, controllata, spesso percorsa da un’ironia scura, procede per frasi brevi e osservazioni taglienti, inserendo sequenze di memoria più condensate, creando un ritmo che richiama il procedere della vettura sulle curve. L’autore mantiene una distanza costante dal proprio materiale narrativo, evitando sia l’autocommiserazione sia il giudizio esplicito. Come ha osservato la critica tedesca, e in particolare Die Zeit, è proprio questa combinazione di intensità emotiva e lucidità formale a conferire al romanzo la sua forza: il dolore viene mostrato, non esibito; il dramma resta sempre sotto la superficie del racconto.

I personaggi sono costruiti per sottrazione. Il protagonista non cerca l’assoluzione, né viene offerto come modello morale. Il figlio rappresenta meno un personaggio compiuto che una proiezione di futuro, un punto di resistenza alla ripetizione. Le figure femminili, spesso laterali o assenti, contribuiscono a delineare un mondo affettivo incompleto, in cui la comunicazione è frammentaria e gli affetti restano irrisolti.

Nel panorama della narrativa europea contemporanea, Serpentine si colloca accanto a quei romanzi che fanno della provincia un laboratorio morale e della memoria familiare un campo di tensione politica e psicologica. Non c’è compiacimento sociologico, né ambizione totalizzante: Bjerg lavora in sottrazione, affidando alla forma breve e alla precisione stilistica il compito di evocare questioni più ampie. Il risultato è un romanzo che dialoga con una tradizione mitteleuropea di introspezione critica, aggiornandola a una sensibilità contemporanea attenta alle dinamiche intergenerazionali.

Tra i principali punti di forza di Serpentine spiccano l’equilibrio tra intensità emotiva e controllo formale, una scrittura sobria ma incisiva e la capacità di affrontare temi delicati senza ricorrere a enfasi o compiacimenti. Bjerg costruisce un romanzo che convince per misura e coerenza, affidando all’ellissi e all’ironia il compito di dare profondità al racconto. Di contro, la scelta di una narrazione frammentaria e di una trama volutamente rarefatta può risultare penalizzante per i lettori che si aspettano uno sviluppo più esplicito o una maggiore chiarezza motivazionale. È tuttavia un limite funzionale al progetto del libro, che privilegia la riflessione e la densità tematica rispetto alla progressione narrativa tradizionale.

Serpentine è un libro esigente, che rifiuta spiegazioni definitive e chiede al lettore di sostare nell’ambiguità. Ma è proprio in questa scelta che risiede la sua riuscita: un romanzo che non promette catarsi, ma una forma di consapevolezza. Come la strada che lo attraversa, procede per curve, costringendo chi legge a rallentare e a guardare con maggiore attenzione ciò che di solito si preferisce evitare.

Qui potete leggere l’incipit.

Bov Bjerg (1965) ha compiuto gli studi universitari a Berlino, Amsterdam e all’Istituto tedesco di Letteratura di Lipsia. Vive a Berlino. Ha lavorato come attore e autore per il cabaret e ha scritto per vari giornali. Nel 2008 ha esordito con Deadline. Il suo secondo romanzo, La nostra casa (Keller 2017), ha conquistato tutti, critici e lettori, giovani e adulti, è stato rappresentato a teatro e letto nelle scuole, ed è approdato sul grande schermo nel 2019 aggiudicandosi poi il premio come miglior film nella sezione generator +18 al Giffoni Film Festival 2020. Serpentine è stato inserito invece tra le sei opere finaliste del German Book Prize.