INCIPIT
Trovare lo studio non fu difficile. L’ambiente era grande, ma avvolto nella penombra e ingombro di cavi e attrezzi. Un uomo in camicia a scacchi le venne incontro dicendole di aspettare vicino a un riflettore, e lei quasi vi inciampò. Una donna esile dai capelli rossi, abbarbicata su uno sgabello, gesticolava al centro di un cono di luce davanti alla cinepresa, sotto lo sguardo imperturbabile di un tipo con un berretto da baseball calato sul capo, seduto come in trono su una poltroncina pieghevole. Probabilmente era il regista o, comunque, di sicuro un pezzo grosso, pensò, notando che era circondato da uno sciame di assistenti adoranti. La sicurezza che l’aveva accompagnata lungo il tragitto fin lì all’improvviso l’abbandonò e si sentì tornare la ragazzina esitante che era sempre stata.
«Ehi tu, bellezza, come ti chiami?» le chiese uno degli assistenti alla regia.
«Alice» rispose con un filo di voce.
«Alice, vieni, tocca a te».
La donna dai capelli rossi aveva finito, e ora era il suo turno. Tremante, raggiunse lo sgabello. Il fascio luminoso quasi l’accecò.
«Siediti là e guarda verso la cinepresa. Quando ti diamo il segnale, puoi iniziare a parlare. Hai capito?»
«Signorina, devi guardare qui!» le urlò qualcuno.
Con tutta quella luce negli occhi non riusciva a vedere nulla.
«Un po’ più a destra!»
Ubbidì e, guidata dalle spie luminose della cinepresa, corresse la postura.
«Allora, vediamo: Alice, parlaci di ciò che vuoi. Raccontaci qualcosa di te. Vai!» disse quello che sembrava il regista.
«Provino Alice uno. Ciak, azione!» gridò qualcun altro nel buio.
«Oh! Io…io…»
«Alt! No, così non va bene. Hai abbassato la faccia. Devi tenere lo sguardo fisso in camera, chiaro?»
La voce del regista le parve dura e affilata come una lama.
Alice si paralizzò. Sentiva che stava per piangere.
«Aspetta, ha la fronte lucida. Marì, dalle una sistemata» intervenne un’altra voce.
Da dietro le sue spalle spuntò una ragazza con uno strano gilet pieno di tasche, da cui estrasse un piumino e della cipria. La truccatrice le tamponò delicatamente le guance e la fronte, quindi con una spazzola le sistemò i capelli. Prima di andarsene, le rivolse uno sguardo complice, poi le sussurrò: «Il segreto è parlare come se fossi con un’amica. O con tua madre Tu e lei e nessun altro intorno».
Ferzan Ozpetek

