INCIPIT
Si chiamava Lucia
Di mia madre, ho soltanto due foto in bianco e nero.
Oltre, naturalmente, alla mia stessa vita e a qualche memoria biologica, che non sono certa di saper distinguere dalla suggestione e dal mito.
Scrivo questo libro perché mia madre diventi reale.
Scrivo questo libro per strappare alla terra l’odore di mia madre. Esploro un metodo per chi ha perduto la sua origine, un sistema matematico di sentimento e pensiero, così intero da rianimare un corpo, caldo come la terra d’estate, e altrettanto coerente.
Comincio da quello che ho, le due fotografie che la ritraggono, nell’ordine in cui sono apparse nella mia vita. La prima
è stata scattata nel giorno del suo matrimonio, sabato 17 gennaio 1959. Lucia ha ventidue anni, veste in bianco integrale e non sorride.
Un giorno, guardando questa foto fino a far scomparire le immagini e apparire la realtà dietro le cose che chiamo poesia, ho appuntato su un ritaglio di giornale quattro frasi, che diventeranno chiare scrivendo questo libro: «Si chiamava Lucia. Pochi avevano a cuore la sua vita. Oggi è il giorno del suo matrimonio. Qualcosa di lei non esiste più».
La seconda fotografia è il rettangolo di pochi centimetri incollato sulla carta di identità, trovata nel giugno 1965 in una borsetta abbandonata a Roma. Mostra una giovane donna piuttosto bella e persuasa di sé, vestita con maglia e giacca nera, orecchini e collana d’oro. Un’eleganza semplice. Lo sguardo è sincero, aperto e remoto. Nonostante Lucia sorrida appena, il labbro inferiore un po’ sporgente dà all’intero viso un’espressione infantile, lievemente imbronciata. Ricorda Claudia Cardinale nella Ragazza con la valigia di Valerio Zurlini. Non so quanti anni abbia in questa foto.
Nello scatto dove Lucia veste in nero l’espressione «fotografia», scrittura di luce, appare corretta.
Nella fotografia in bianco, lo sguardo della sposa risucchia l’intera scena in una vitrea assenza di vita. Lucia fa gli occhi lisci della preda che finge di non esserci, arretra in uno sguardo impenetrabile, dove il mondo è un paesaggio di bestie aguzze e senza sogni, addormentate fuori dalla natura. E su quegli occhi aperti il mondo scivola, non posa più.
Maria Grazia Calandrone

