Il mestiere di leggere. Blog di Pina Bertoli

Letture, riflessioni sull'arte, sulla musica.

Fino alla fine

INCIPIT

1

Le trancio il collo con un colpo d’accetta. Lascio cadere la testa in uno dei due secchi e il corpo nell’altro, sento gli artigli grattare la plastica, poi cala il silenzio. Entro nel fienile a prendere la prossima, la tengo stretta al petto mentre cammino, sento fremiti e pulsazioni sotto le penne, le dico qualcosa sottovoce, poi la capovolgo, tenendola per le zampe finché non si calma. La poso in tutta fretta sul ceppo, le tendo il collo, le do un colpo secco alla testa con il dorso dell’accetta, con un unico movimento ruoto il manico nel palmo e con il taglio della lama la decapito.
Mi sono dimenticata di chiudere la porta del fienile, una delle galline è uscita e si è piazzata lì davanti a guardarmi. Sembra sconvolta, forse confusa, come se non riuscisse a credere a ciò a cui ha appena assistito, e io, mossa a pietà, mi domando se sia il caso di riportarla dalle altre e lasciarla per ultima, oppure se, così facendo, resterebbe attanagliata dalla paura più a lungo del necessario. Gustav mi canzonerebbe dicendo che attribuisco loro emozioni che non hanno, ossia le mie.
«Avanti, vecchia mia», mormoro mentre mi accovaccio, e sento male alle ginocchia, all’intero corpo, devo telefonare a Sigrid, tiro fuori il mangime composto che tengo in tasca, la richiamo, lei fa scattare la testa a sinistra, poi a destra.
Neanche mi piacciono, le galline; queste, poi, è da un bel pezzo che non fanno più uova, e se le ho tenute è solo per nostalgia… oltre che per mantenere un’illusione di attività: una fattoria deve pur avere degli animali, come ha detto Viljar l’ultima volta che è stato qui. In linea di principio sarei d’accordo, ma ritrovarsi sul gobbo cinque galline stravecchie e improduttive solo per i nipotini che vengono in visita quattro volte l’anno, il gioco non vale più la candela.
Alla fine la gallina non resiste alla tentazione e si avvicina a mangiare dalla mia mano. Le accarezzo le penne e le lascio finire il mangime prima di abbatterla.

«Sigrid? Ha chiamato tua madre», dice Aslak non appena varco la soglia di casa. È steso sul divano, voltato di schiena, e solleva il mio cellulare come per mostrarmi la telefonata, ma senza guardarmi. «Mi pare che volesse dirti qualcosa a proposito di certe galline».
«In che senso ti pare?», dico io, sfilandomi le scarpe e la giacca.
«Eh, nel senso che sicuramente c’entravano le galline, ma non ho ben capito cosa volesse dirti».
«Molto bene», ribatto io, sedendomi in poltrona accanto a lui, senza la forza di aggiungere altro.
Lui ridacchia, si gira e mi lancia un’occhiata. «Vedi che succede quando dimentichi il cellulare?», mi fa. «Ti vedo stanca», dice poi, con un tono di semplice constatazione.
È vero, sono stanca. Talmente stanca che ogni dialogo, ogni movimento, ogni pensiero richiede uno sforzo.
«Ma ormai è venerdì», dice Aslak, come per mettere fine alla mia riflessione. Sorride e mi dà una pacca sulla coscia. «Viljar vuole i tacos, ma non dare la colpa a me: devono avergliela messa in testa all’asilo questa storia del “venerdì tacos”. Sai se viene Mia?».
Mia è dal padre, e ovviamente no, non verrà. Aslak sembra talmente speranzoso che non ho cuore di dirgli che non la sento da diversi giorni.
«Non ti cambi?», gli chiedo allora per cambiare argomento, facendo un cenno con la testa verso i suoi pantaloni da lavoro. «Visto che è venerdì…».
Rimando il momento di chiamare mia madre e salgo in cameretta, dove Viljar è seduto nella sua piccola tenda con l’iPad in grembo.
«Buondì, signor Viljaretti», gli dico, facendo capolino nella tenda. Gli do un bacetto su una guancia e mi ritrovo le labbra piene di briciole umide e salate. Solo ora vedo che ha un alone arancione intorno alla bocca e sulle mani. «Ma nooo, hai cenato con le palline al formaggio!».
Viljar annuisce, senza distogliere lo sguardo dallo schermo, dove c’è Peppa Pig. Le palline al formaggio gliele avrà date Aslak, forse per ricompensarlo di qualcosa, o forse per dimostrare qualcosa a me, ma ormai ho smesso di cercare di capire dove vuole arrivare. Sospetto che non lo sappia nemmeno lui. Strappo il sacchetto dalle manine di Viljar, che per fortuna non protesta.
«Ancora un episodio, poi basta», gli dico, mentre Peppa e la sua famiglia scoppiano in quell’assurda risata che conclude ogni avventura, sempre con l’etica familiare perfettamente integra. Con mano esperta, Viljar fa scorrere verso il basso l’elenco delle puntate.

Helga Flatland

Recensione