Il mestiere di leggere. Blog di Pina Bertoli

Letture, riflessioni sull'arte, sulla musica.

Il cuore della foresta

INCIPIT

Cara mamma,

una volta mi chiamavi Sparrow.
Perché Sparrow? Perché i boschi sono pieni di passeri e tu andavi pazza per tutto ciò che sta all’aperto. Gli uccelli, i fiori di campo, il vento. Sapevi leggere il tempo come una poesia.
Ma perché ti ricordavo un passero e non un altro uccello canoro? Non mi è mai venuto in mente di chiedertelo. Con quelle guance bianche e le parti basse sporche, i passeri comuni sono dappertutto. Mendicano ai tavolini all’aperto e saltellano sulle panchine in città. Fanno il nido nei comignoli e sulle travi, e perfino nei tubi di scappamento. I passeri non sono un granché belli, ma sono svegli. Abili. Minuscole asce di guerra con le piume.
I passeri sopravvivono.
Mi piace pensare che intendessi questo.
A quei tempi ti seguivo come se fossi stata una stella fissa. Ti stavo attaccata alle gambe, morsicavo un po’ della tua gonna, ti tenevo sempre vicina, andavo dove andavi tu. Arrancavo dietro di te quando andavi in giardino o tornavi dentro. Su e giù per le scale. A volte, ti stavo seduta in braccio, ti mettevo la mano sul petto per sentire il tuo centro: il durame, la sostanza più interna, come la parte che tiene in piedi l’albero. Quando non potevo vederti, cercavo di sentirti. Il tuo cincischiare era la musica della mia vita.
Un sospiro ambiguo, una nocca che scrocchiava, un Merda! detto fra i denti, una pila di stampi da forno che precipitava.
Quando sono diventata più alta, stavo con te in cucina, con i lacci del grembiule girati tre volte intorno alla vita. Tu eri magica. Avevi un utensile per tutto. Un attrezzo per sbucciare le mele. Un altro per grattare via la parte profumata della scorza di limone lasciando quella amara. Un bastoncino di legno tornito che serviva a prendere il miele dal barattolo.
Avevo quattro o cinque anni quando ho incominciato a intuire la realtà della mia posizione, vale a dire che non potevamo andare avanti così per sempre. In effetti, non eravamo mai state destinate a questo. Avrei dovuto lasciare quella nostra nazione di due persone. Era una verità insopportabile per me. Non volevo crescere.
Ovviamente non avevo scelta. Sono cresciuta comunque.
Asilo, elementari, medie, superiori.
Sono sopravvissuta a tutto. Mi piaceva il trambusto della vita adulta, in realtà. Le facce sempre nuove. Le possibilità, le strade aperte, perfino la solitudine.
Sputando in faccia alle mie tante ansie, sono diventata infermiera.
Alla fine ho capito che la maternità, così come si immagina da bambini, non è praticabile.
Nessuna donna è una stella. Nessuna donna è una dea, un albero o una maga.
Ma per un po’, in braccio ate, l’universo è stato delle dimensioni giuste, e io ho saputo dove stavo.

Amity Gaige

Recensione