INCIPIT
Quando il vecchio gufo coi denti spalmati di nicotina ha fatto quella domanda, ho capito che era arrivato il momento folkloristico.
Non che la cosa mi dispiaccia. Adoro il momento in cui avverto che nella conversazione salta fuori la nostra famiglia, e che mi faranno quella domanda.
La nostra famiglia è la cosa più fantastica della mia vita e l’argomento di maggior successo delle mie conversazioni. Noi non abbiamo niente in comune con gli altri, ci siamo creati col nostro stesso soffio, siamo essenziali l’uno per l’altro, unici e dissonanti, i soli della nostra specie. Tutta la gentucola che ha svolazzato intorno a noi ha finito col bruciarsi le ali. Non è che siamo cattivi, ma tiriamo fuori i denti. Quando una banda di Cardinal decideva di farsi largo, se la davano tutti a gambe.
«Ma insomma, in quanti eravate?»
A quella domanda scatta la meraviglia, mi è capitato talmente tante volte da far girare la testa. Non riuscirò mai, credo, a nascondere il mio orgoglio quando li sento ripetere in coro, sconvolti e sgomenti:
«Ventuno? Ventuno figli?»
Subito dopo arrivano le altre domande, sempre le stesse, più o meno: come facevamo per i pasti (le dimensioni del tavolo, è inevitabile che una donna voglia saperlo), come facevamo a trovare un alloggio adatto (con quante camere?), com’era il Natale, il rientro a scuola dopo le vacanze estive, e vostra madre non era sfibrata da tutti quei bambini?
Allora io racconto.
Jocelyn Saucier

