INCIPIT
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Nei giorni di Natale le sorelle Zanetta risposero agli auguri del fratello. Riunite in cucina dove c’era più luce battendoci il sole al mattino, a scrivere la lettera ci pensarono le due maestre, ospiti della sorella maggiore che, tra i figli e la casa, non aveva mai un attimo tranquillo. L’ultimo era nato in quell’anno, il primo del nuovo secolo, e ora passava nelle braccia delle zie che si contendevano il profumo di latte e borotalco perché la madre potesse aggiungere un paio di righe, con calma. Ma appena Giacinta si riprese il piccolo Ettore, volle subito metterci una frase pure Clelio, e poi Ines uno sgorbio, e così firmarono solo per ultime Erminia e Abigaille. Entrambe credevano in una pedagogia nuova, credevano che ogni crescita andasse sostenuta come la testolina di un corpo in fasce, credevano che ogni bambino fosse ricettacolo di doni ricevuti e di possibilità future. E anche se i nipoti non avrebbero mai conosciuto lo zio d’America, era giusto farli partecipare allo scambio di auguri e di novità che congiungevano la Sesia e il Rio de la Plata.
La mattina dopo, che era Santo Stefano, le sorelle si abbracciarono davanti alla porta della casa rurale, nell’aria di montagna. C’era fretta, il primo treno da non perdere e tanto da sistemare, laggiù, dove Erminia e Abigaille sarebbero andate ad abitare insieme, dopo anni.
Dalla casa di Fenera scesero a piedi alla stazione di Bettole-Valduggia, consegnando a Clelio le provviste per il viaggio. Si era vestito mentre i piccoli dormivano ancora pur di non perdersi la loro partenza. Il cognato, che non voleva sentire storie, impugnò le valigie più pesanti. Contenevano tutti gli averi di zia Ille: biancheria, abiti, libri, e qualche rimasuglio dell’infanzia. La valigia di zia Ermis la prese il ragazzo che dava una mano alla fornace, e anche un cartone con la farina gialla, la toma, la marmellata, il liquore di genziana.
Arrivate in anticipo in stazione, le sorelle ebbero il tempo di dare una spolverata alle scarpe a cui si era attaccato un po’ di fango. Lo sguardo levato oltre i binari, contemplarono lo scuro corpaccione del Fenera davanti alle cime innevate del Monte Rosa, con il piacere di salutarle nella mente: Corno Rosso, Corno Bianco, Corno Nero, e in fondo, superiori ai quattromila, la Punta Dufour e la cresta del Lyskamm. Il cognato auspicò di rivederle a Pasqua.
Helena Janeczek

