Il mestiere di leggere. Blog di Pina Bertoli

Letture, riflessioni sull'arte, sulla musica.

Intimità senza contatto

INCIPIT

UNO

Si svegliò in un corpo a lei non familiare.
Non familiare, ma non del tutto sconosciuto, poiché era in grado di percorrerlo con la mente fino alle sue estremità.
Mosse con cautela le dita delle mani e dei piedi, e si accorse che tra gesto e intenzione sembrava interporsi una specie di barriera. Forse la risposta si trovava nel rovescio della domanda: se quello fosse stato davvero il suo corpo, il corpo a cui era abituata, allora flettere un dito non avrebbe dovuto essere poi troppo diverso dal sedersi, dallo sdraiarsi o dal camminare, azioni che era in grado di eseguire senza alcuna increspatura del pensiero.
La condizione in cui si trovava era simile a quella di chi si risveglia da un grave infortunio, oppure di chi fa esperienza della realtà virtuale per la prima volta e cerca di stabilire se il proprio avatar digitale sia connesso o meno ai propri pensieri, guardandosi il corpo e agitando le mani.
Ma forse non si trattava né di un caso né dell’altro. Man mano che la sua coscienza si schiariva seguendo i movimenti, si ricordò del messaggio di notifica che l’aveva destata prima del sole e prima della sveglia che aveva illuminato lo schermo del telefono.
«Programma di ibridazione bio-sintetica», scandiva il messaggio ai margini confusi del suo campo visivo. Non riusciva a ricordare altro, non in quel momento almeno, ma lo scintillio della notifica bastò a farle capire la situazione. Questo corpo a lei non familiare era il corpo che aveva ottenuto dopo l’operazione di ibridazione. Ora le era evidente.
La ritrovata chiarezza aprì tuttavia a nuova confusione. Il buio uniforme e senza fine in cui era immersa non le permetteva di capire se avesse gli occhi aperti o chiusi. Alzò le mani e il loro peso la stupì, fu come se stesse sollevando due manubri del tutto sconnessi dal proprio corpo. Le fece cadere sul volto, lasciando che le dita ne esplorassero i contorni irregolari, e quando arrivò agli occhi ebbe un sussulto improvviso: la contrazione muscolare le fece intuire che erano aperti.
Quel riflesso spontaneo ristabilì alcune certezze: sebbene quel corpo le fosse in parte ancora estraneo, non era poi così diverso da quello che aveva prima. Le sarebbe servito solo un po’ di tempo per abituarsi alla novità, come aveva fatto tante volte in passato nella realtà virtuale. Nel buio della stanza, che i suoi occhi fossero aperti o chiusi non faceva alcuna differenza, e in quello stato di trance ripensò agli avatar che aveva abitato, a come si era abituata a vivere in spazi diversi sotto altre sembianze, a volte come uomo, altre come donna, altre ancora in cui la distinzione non era netta. In certe occasioni aveva scelto di non essere più umana, come quando si era presentata in classe sotto forma di coniglio digitale, per scoprire divertita che anche il resto dei suoi compagni aveva deciso di impersonare ogni sorta di animale. A partire da quel giorno, avevano deciso di creare uno spazio virtuale dove incontrarsi regolarmente, che chiamarono «lo zoo».

Lin Hsin-Hui