Il mestiere di leggere. Blog di Pina Bertoli

Letture, riflessioni sull'arte, sulla musica.

La conca buia

INCIPIT

I

Le botte che mi dava mio padre, senza che sapessi perché. Mi rincorreva a lungo, in silenzio, finché non mi afferrava i capelli sulla nuca o, con uno slancio, le caviglie (le sue gambe, per quanto storte, erano più leste delle mie): allora mi atterrava, e con metodo e ritmo uniforme mi percuoteva a lungo, sempre in silenzio, con l’espressione di un mulo. Botte, botte ovunque, a mano aperta, sonore e pungenti, o a pugno chiuso, sorde e cupe, o pizzichi brucianti, o certe martellate in punta di dita che sembravano volermi entrare nelle carni. Niente graffi: quando era ragazzo una misteriosa malattia gli aveva portato via tutte le unghie. Ma talvolta, quando l’ira era tale da deformargli i lineamenti, morsi cagneschi, con i denti che gli rimanevano.
Giungeva la mamma, asciugandosi le mani nel grembiule, strillante, e gli si buttava addosso per separarci. Lui allora si volgeva contro di lei, e continuava a menare colpi, mentre io strisciavo via, grato di quell’intervento ma incapace sul momento di difenderla a mia volta. Mi nascondevo dietro un albero e da lì osservavo le braccia di mio padre – tuo nonno – che si abbattevano sulla schiena o sulla pancia della mia soccorritrice finché qualcosa (un nodo di tosse, l’arrivo di qualcuno, o la stanchezza, o un pensiero) non lo distraeva.
Si tirava su, allora. Restava a guardare la mamma a terra. Poi allungava un braccio, e la aiutava a levarsi.
Spesso ci si picchiava nel cortile, o dietro casa, nei prati dove pascolavano le vacche. Venivamo via ricoperti di letame, sputando strame e sterco, e a manate cercavamo di tirarci via un po’ di schifo dagli abiti. L’odore viscoso dello sterco lo avrei collegato poi sempre al dolore delle botte, e sempre, tornando alle montagne e respirandovi quel sentore di vacca sporca, avrei avuta ben chiara l’immagine controluce di mio padre chino su di me, ottuso ed ermetico, che mi puniva a schiaffi e pugni per qualcosa che non sapevo.

Claudio Morandini