Il mestiere di leggere. Blog di Pina Bertoli

Letture, riflessioni sull'arte, sulla musica.

L’apolide

INCIPIT

I

La luce dell’alba è fioca a febbraio, l’aria è gonfia d’acqua gelata, odora di sale, di alghe bagnate. I marinai si affrettano sui ponti della nave ancorata in rada maledicendo la tempesta di neve: ha lasciato ovunque uno strato di ghiaccio sottile che, oltre a entrargli nelle ossa, impedisce loro di compiere anche i gesti più semplici. Olga Pavlovna Olsufieva li intravede nella semioscurità agitarsi da prua a poppa come formiche, scivolare, rialzarsi, lanciare e tirare gomene spesse come i suoi polsi. Li sente imprecare in inglese dalla banchina del porticciolo georgiano sul Mar Nero dove quella mattina attende, con il resto della famiglia, di salire a bordo del cacciatorpediniere Druid. Poi sposta lo sguardo sulla scialuppa: si muove a fatica verso di loro tra la nebbia e i blocchi di ghiaccio che galleggiano tra le onde, come cadaveri.
Alea iacta est, ancora pochi minuti e il dado sarà tratto – sussurra girandosi verso il marito. Le sta accanto tenendo in braccio l’ultimogenito addormentato, Aleksej, Alëša, cinque anni da qualche mese.
– Dove hai messo i passaporti? – gli chiede poi inquieta.
– Ce li hai tu, nella cintura – risponde lui accennando un sorriso stanco.
– Me li hai dati tutti, vero?
– Certo, stai tranquilla.
Olga fa un gesto nervoso con la mano per rimettere in ordine una ciocca di capelli, sfuggita dal cappello di pelliccia consunto. Ha guance rosse come le bandiere che i comunisti sventolano in quei giorni per le strade dell’impero russo allo sbando; occhi gonfi, piccoli e nerissimi che a un tratto si riempiono di lacrime.
Abbassa lo sguardo sulle figlie, per controllare che nessuno manchi all’appello: le njanje, le fedelissime bambinaie, ne tengono per mano due a testa. Keta stringe quelle di Assia di dodici anni e Mašik di undici, mentre Alina si occupa di Daria e Olly, di nove e sei anni.
Ci sono tutte.
Ogni cosa la turba ormai, ma a spaventarla di più è l’idea di perdere, nella fuga, pezzi di famiglia, quasi fossero tasselli di un puzzle, il nuovo gioco dei bambini, che passano ore a ricomporre immagini scomposte in tante minuscole tessere di legno a incastro. Basta che ne manchi una per rovinare tutto.
Il suo incubo ricorrente.
Per un attimo, il ricordo della maggiore che scappa giù dal carro l’attraversa, violento come una coltellata. Aveva cercato di trattenerla, ma lei le era sgusciata tra le mani come un’anguilla e poi si era messa a correre all’impazzata per l’immensa steppa caucasica, mentre i proiettili le fischiavano sopra alla testa lasciando piccole nuvolette di fumo nell’aria. Fuggiva piangendo per i campi ricoperti di azalee selvatiche color rosso fuoco, tenendo stretta al collo la sua bambola di porcellana, appena decapitata
da un’improvvisa reazione dei cavalli ai bombardamenti.
Da allora Olga non riesce a smettere di seguire i figli con gli occhi, cercarli, volerli sempre accanto.
Tutti e cinque.

Alessandra Jatta

Recensione