Il mestiere di leggere. Blog di Pina Bertoli

Letture, riflessioni sull'arte, sulla musica.

L’estate in cui mia madre ebbe gli occhi verdi

INCIPIT

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Quella mattina in cui la odiavo più che mai, mia madre aveva compiuto trentanove anni. Era piccola e grassa, stupida e brutta. Era la madre più inutile che fosse mai esistita. La guardavo dalla finestra mentre se ne stava al cancello della scuola come una mendicante. L’avrei uccisa senza pensarci due volte. Muti e spauriti, gli altri genitori mi passavano accanto. Un triste cumulo di perle finte e cravatte da due soldi che veniva a prendere da scuola i figli falliti lontani dagli occhi della gente. Almeno loro avevano fatto lo sforzo di venire su. Mia madre se ne sbatteva di me e del fatto che, nonostante tutto. avessi finito la scuola.
La lasciai lì a tormentarsi per quasi un’ora. Dapprima arrabbiata, si mise a camminare avanti e indietro lungo la recinzione della scuola, per poi fermarsi, praticamente sul punto di piangere, come qualcuno a cui avessero fatto un grave torto.
Non scesi nemmeno allora. Appiccicai la faccia contro il vetro e rimasi a guardarla fino a che tutti i ragazzi non se ne furono andati. Perino Mars, nella sua sedia a rotelle, e perfino gli orfani, che al cancello ad aspettarli avevano solo droga e riformatori.
Jim, il mio miglior amico, mi salutò e mi gridò di non suicidarmi durante le vacanze. Era coi suoi, che l’avrebbero venduto al mercato nero degli organi in un batter d’occhio se non fosse stato per la paura di quello che avrebbe detto la gente. Sua madre, bella e con la pelle di madreperla, fece una lunga risata, alzando il mento e i capelli scalati su tre livelli. Risero perfino quella psicotica della coordinatrice di classe, il prof. di matematica e la preside, l’unica persona normale di tutta la scuola. A dire il vero ridemmo tutti, come si fa per una buona battuta, perché fu davvero una buona battuta. Non aveva senso fingere visto che eravamo tra di noi.
Per di più era l’ultimo giorno di scuola e i nostri professori avrebbero riso per qualunque cosa pur di vederci andar via. Se non per sempre, almeno per l’estate, periodo in cui la metà di loro avrebbe provato a cercare un altro lavoro. Certi ci riuscivano, e così li si perdeva di vista. Altri invece, meno fortunati, si trovavano costretti a tornare autunno dopo autunno davanti agli stessi allievi diabolici che detestavano e temevano. Scollai la faccia dalla finestra come un adesivo usato. Ero finalmente libero e il mio futuro aveva un che della solennità di un cimitero addobbato.

Tatiana Ţîbuleac

Recensione