INCIPIT
L’Erbo Divino
In poco tempo i gerani rossi si erano impossessati di tutta la facciata della casa. Dapprima era toccato al portico. Le talee riproduttive, vizze, appena trapiantate, dopo qualche giorno erano già nerbose e fiere; parevano voler preservare le forze per affrontare, di lì a poco, la mutilazione necessaria che avrebbe
portato a nuova vita. Le foglie pelose e cuoriformi dall’occhio scuro somigliavano a certi gorghi incattiviti, indispettiti, della corrente dell’Adige che scorreva dietro la casa. Dopo, fu la volta delle grondaie, squassate dai temporali estivi che le inondavano con foga di torrenti, lasciandole, quando il sole
finalmente si riaffacciava, prosciugate come la gola di Galdino Fava, soprannominato, a giustizia, ea gorna, perché capace di far scorrere nella sua gola ettolitri di vino.
«I miei tesori appassiti, ora mi occupo di voi», bisbigliava l’uomo chino sui fiori.
«Curaci, guardaci, accarezzaci», parevano sussurrargli i petali che lui sfiorava, andando a togliere, una a una, le infiorescenze appassite per rinvigorire la verzura. Giù in paese, nel camposanto, la terra sopra alla cassa di Rosalba era ancora franosa, le bordure in marmo ordinate avrebbero dovuto aspettare, la sventura era capitata da poco.
Quei gerani erano stati piantati davanti alla casa nove mesi prima della nascita di suo figlio; l’inverno lo avevano trascorso alla remòcia in magazzino, tamponati nei vasi con la paglia, perché il freddo pungente, che strisciava da sotto il portone, non li offendesse compromettendone la fioritura. Erano state sua moglie e la Botanica a portarli fuori, lo avevano fatto insieme perché i vasi erano diventati troppo pesanti e Rosalba non poteva arrischiarsi da sola. A lui era toccato l’ufficio di tenere in mano le nuove talee da innestare nella terra nuda, liberandole dall’infertilità dell’inverno. Dopo averle portate all’aperto le avevano piantate dirimpetto alla casa: da quel momento in poi avrebbero trovato dimora nella terra fredda che, anche negli inverni più rigidi, ti ripara e ti irrobustisce, e se le loro radici avessero incontrato la grazia si sarebbero fortificate, diventando quasi braccia umane e, a ogni primavera, avrebbero gittato le più belle inflorescenze. Piantare a terra i gerani era un’offerta, un segno di ringraziamento. Le piante
erano cresciute nei vasi, anno dopo anno, era sembrato un azzardo strapparle da quell’accudimento, ma tanto erano grati per l’attesa del bambino da non avere dubbi sulla necessità di abbellire la facciata della casa come un altare. Chiunque fosse andato a trovarli sarebbe rimasto colpito, portandosi la mano alla bocca per tanta bellezza. Se per sbaglio qualcheduno sbocciava di un altro colore, fosse anche amaranto o cremisi, doveva essere estirpato, si era raccomandata la Botanica, e gettato nella fossa del letame vicino alla stalla, per tornare subito terra e forse, con la benevolenza del cielo, nascere con un segno migliore. Gerani regali, gerani parigino, gerani odorosi con le piccole foglie frastagliate e aromatiche, ma tutti i fiori
dovevano essere rossi come il sangue.
Non erano faccende che potevi tenere nascoste, quelle.
Barbara Buoso

