Il mestiere di leggere. Blog di Pina Bertoli

Letture, riflessioni sull'arte, sulla musica.

Ruthie Fear

INCIPIT

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L’anno in cui Ruthie Fear venne al mondo, suo padre sparò all’ultimo lupo della Bitterroot Valley. Lo appese per le zampe posteriori al tetto della rimessa. Era quasi completamente bianco, e talmente grosso che col muso sfiorava il suolo. Nei pomeriggi immobili, afosi, oscillava piano, sfregando per terra le zampe anteriori. Per vederlo i rancher e i turisti venivano addirittura da Ennis. Nei pressi della casa mobile dei Fear si radunavano gruppetti di gente che rideva, sputava e prendeva a calci la terra. Pagavano un dollaro per farsi fotografare. C’era chi metteva il braccio intorno al lupo e se la rideva. Altri fissavano l’obiettivo in silenzio. Ognuno di loro era più piccolo dell’animale.
Appena l’interesse svanì, Rutherford tirò giù il lupo, lo scuoiò e lo trasformò in un tappeto. Rimpiazzò gli occhi con due pezzi di vetro colorato. Tirò all’indietro le orecchie e fissò le fauci in un ringhio perpetuo. Stese il tappeto nella casa mobile, occupando per intero lo stretto pavimento del soggiorno. In quella posa, con gli artigli ancora ben saldi all’estremità delle zampe appiattite, il lupo appariva insieme furente e confuso circa dove fosse finito il suo spirito. La madre di Ruthie se ne andò poco più tardi, e l’unico posto in cui la piccola riusciva a prendere sonno era sul tappeto di pelle di lupo, con la guancia posata sulla sua spalla e le piccole dita intrecciate al pelo bianco del dorso. Quando c’era lei, il lupo aveva un’aria meno arrabbiata. Se provavano a sollevarla, la bambina strillava come un’ossessa, così dormì lì sopra fino ai quattro anni di età. Per il resto della breve esistenza della figlia, Rutherford dichiarò che era stata quell’abitudine a renderla tanto cocciuta e selvatica.
Ruthie però sapeva che era stato il dover vivere fra gli uomini.

Maxim Loskutoff