A proposito della sua prima raccolta di poesie, “Libro de poemas“, Federico García Lorca amava dire che era frutto di una “potatura” di rami e foglie del suo “albero lirico”: il risultato finale è una raccolta veemente, sentimentale, ironica, nella quale confluisce un ampio sguardo introspettivo affacciato al mondo del giovane poeta. Il linguaggio si fa poesia attraverso una plasticità metaforica che diventerà la cifra del suo comporre. Lorca compose queste liriche tra il 1918 e il 1920, a venti-ventidue anni, e con esse ci consegna tutto il suo sguardo giovanile verso il mondo, verso ciò che più amava e in cui si rispecchiava: la musica, il canto, la natura, la vita; ma anche le sue inquietudini, le angosce e le domande esistenziali tipicamente presenti nel passaggio dall’adolescenza alla vita adulta.
In questa raccolta me ne sono care tante, di poesie; come questa:
Pioggia
La pioggia ha un vago senso di tenerezza
una sonnolenza rassegnata e amabile,
una musica umile si sveglia con lei
e fa vibrare l’anima addormentata del paesaggio.
È un bacio azzurro che riceve la Terra,
il mito primitivo che si rinnova.
Il freddo contatto di cielo e terra vecchi
con una pace da lunghe sere.
È l’aurora del frutto. Quella che ci porta i fiori
e ci unge con lo spirito santo dei mari.
Quella che sparge la vita sui seminati
e nell’anima tristezza di ciò che non sappiamo.
La nostalgia terribile di una vita perduta,
il fatale sentimento di esser nati tardi,
o l’illusione inquieta di un domani impossibile
con l’inquietudine vicina del color della carne.
L’amore si sveglia nel grigio del suo ritmo,
il nostro cielo interiore ha un trionfo di sangue,
ma il nostro ottimismo si muta in tristezza
nel contemplare le gocce morte sui vetri.
E son le gocce: occhi d’infinito che guardano
il bianco infinito che le generò.
Ogni goccia di pioggia trema sul vetro sporco
e vi lascia divine ferite di diamante.
Sono poeti dell’acqua che hanno visto e meditano
ciò che la folla dei fiumi ignora.
O pioggia silenziosa; senza burrasca, senza vento,
pioggia tranquilla e serena di campani e di dolce luce,
pioggia buona e pacifica, vera pioggia,
quando amorosa e triste cadi sopra le cose!
O pioggia francescana che porti in ogni goccia
anime di fonti chiare e di umili sorgenti!
Quando scendi sui campi lentamente
le rose del mio petto apri con i tuoi suoni.
Il canto primitivo che dici al silenzio
e la storia sonora che racconti ai rami
il mio cuore deserto li commenta
in un nero e profondo pentagramma senza chiave.
La mia anima ha la tristezza della pioggia serena,
tristezza rassegnata di cosa irrealizzabile,
ho all’orizzonte una stella accesa
e il cuore mi impedisce di contemplarla.
O pioggia silenziosa che gli alberi amano
e sei al piano dolcezza emozionante:
dà all’anima le stesse nebbie e risonanze
che lasci nell’anima addormentata del paesaggio!


Bella! Qui la pioggia, mi pare, ha più d’un compito: evoca vari sentimenti, molteplici immagini, ma credo che l’ultima voglia essere la più importante, come a conclusione di un lavoro di scavo, di una ricerca. Quell’ultima immagine, quell’utimo compito, è poi un grande classico: la pioggia come consolazione, o almeno così mi è parso di capire, come riappacificazione dell’animo.
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Hai toccato i punti importanti della poesia
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Grazie; anzi, meno male, perché, se dovessi insegnare come progetto, è bene attrezzarsi 😉
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lorca è sontuoso, i suoi versi sfavillano, lo amo…
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anch’io…. si vede?
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sì si vede, pina…
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