Shirin Neshat è una fotografa e videoartista iraniana. È considerata una delle artiste contemporanee più rappresentative nell’esplorare la complessità delle condizioni sociali all’interno della cultura islamica, rivolgendo uno sguardo particolare al ruolo che qui la donna ricopre. Proprio la condizione della donna islamica, il suo rapporto con il mondo maschile e più in generale il rapporto della cultura islamica con quella occidentale sono così diventati i nodi centrali della sua ricerca artistica.
In questa intervista e in questa si presenta e spiega la sua idea di realizzazione artistica inserita nella società e nelle sue contraddizioni.
Recatasi per ragioni di studio negli Stati Uniti nel 1974, all’avvento della rivoluzione islamica in Iran vi rimase in esilio, proseguendo i suoi studi artistici all’Università di Berkley e poi stabilendosi a New York. La possibilità di ritornare nel 1990 in patria e la constatazione della sua radicale trasformazione ne hanno profondamente influenzato la ricerca indirizzandola, prima attraverso la fotografia poi con video e cortometraggi, verso la comprensione delle complesse forze intellettuali e religiose sottese ai problemi connessi all’identità femminile e al rapporto tra i generi nella realtà islamica contemporanea. La sua opera ha ricevuto importanti riconoscimenti, tra i quali si ricordano il primo premio internazionale alla Biennale di Venezia del 1999, il gran premio alla Biennale di Kwangju del 2000 e il Lilian Gish Prize ricevuto a New York nel 2006.
Senza rinnegare la sua duplice appartenenza al mondo occidentale e a quello orientale, Shirin Neshat ha impostato un discorso figurativo altamente poetico, capace di scuotere lo spettatore con immagini e muti racconti: espressione di problematiche che seppur connesse con l’islamismo ne oltrepassano i confini. I suoi primi lavori (Women of Allah, 1993–97) sono fotografie in bianco e nero di donne velate, primi piani di parti del corpo femminile (volti, mani, piedi), sulle quali Neshat sovrascrive versi di poetesse iraniane contemporanee, come F. Farrukhzād, che mettono in discussione le qualità stereotipe associate alle donne musulmane.
Nella successiva trilogia di installazioni video sono raccontate storie, affidate quasi esclusivamente alla coreografia delle immagini e alla musica (per la quale si è avvalsa della collaborazione di S. Deyhim), che rende più intensi gli stati emozionali. In Turbulent (1998) il racconto trae ispirazione dalla legge iraniana che proibisce alla donna di cantare in pubblico; Rapture (1999) tratta della separazione dei generi, contrapponendo un gruppo di uomini, che eseguono rituali apparentemente assurdi in una fortezza, e un gruppo di donne che vagano in un deserto fino a giungere alla spiaggia sotto la fortezza e spingono una barca in mare, strumento del loro destino, forse di morte, forse di libertà; Fervor (2000) analizza il rapporto amoroso tra un uomo e una donna. Altre opere di Neshat sono: Soliloquy (1999), su una donna musulmana che è in costante compromesso tra Oriente e Occidente, tra esigenze della tradizione e del mondo di oggi; Passage (2001), cortometraggio a colori girato in Marocco, con la musica di P. Glass, ambientato nel deserto, incentrato sulla morte e sul lamento; Pulse (2001), in bianco e nero, ambientato in un interno: una donna ascolta la musica emessa da una radio accordando la sua voce al canto della voce maschile; i versi di Rūmī, la musica di S. Deyhim raggiungono effetti d’intensa sensualità.
Dopo numerosi cortometraggi, tra cui meritano di essere citati almeno Passage (2002),The last world (2003), Mahdokht (2004) e Zarin (2005), si è pienamente affermata come regista con Women without men, del 2009, incisiva analisi dei destini convergenti di quattro donne sullo sfondo della rivoluzione islamica, cui è stato assegnato il Leone d’argento alla 66° Mostra del cinema di Venezia, cui ha fatto seguito la pellicola Looking for Oum Kulthum (2017), raffinatissima ricerca sulla leggendaria cantante egiziana. La sua opera è stata presentata in numerose personali.
Informazioni e immagini raccolte su Treccani, Rai teche, e vari altri siti italiani e americani.
Che impatto queste foto!
Interessante. Non conoscevo questa artista.
Grazie
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Sì, è abbastanza sconvolgente come impatto. La sua è una ricerca stilistica che si spinge su un terreno piuttosto controverso
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L’Arte a volte prende strade sconosciute ai più, forse proprio per questo si chiama Arte… chissà..
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Ciao Pina! Grazie perché questo tipo di informazioni m’interessa molto.
Appena ho finito col trasloco in corso, approfondisco. Non la conoscevo. Ammiro queste donne in assoluto
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è un’artista coraggiosa, capace di andare oltre i luoghi comuni
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Interessante..
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Molto interessante!
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ciao ti ringrazio con un commento per tutti i tuoi like sul mio multiblog. e da ieri che wordpress non mi prende i like…. spero che domani tutto ritorni nella norma. Notte bisous
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è un piacere seguirvi, siete un bel gruppo pieno di creatività e di talento! buona notte anche a te
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gran bella recensione pina Shirin la merita, amo questa artista, molto…rieccomi, ciauuuu
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Ciao!! bentornata. Ti sei rilassata?? ci sei mancata… dai, adesso rimettiti subito al lavoro!
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eccomi pina…che piacere risentirci!
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La capacità di Shirin Neshat è quello di riuscire a coniugare Oriente e Occidente, analizzando le foto da un punto di vista meramente estetico, risultano affascinanti in quanto i soggetti sono distanti dalla nostra quotidianità, l’impegno politico le legittima, facendo di Neshat un’ icona di una lotta che dovrebbe finire.
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grazie per il tuo commento!
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