Di una cosa era certa, in quella famiglia, al di là del fatto che si fossero tutti ribellati e avessero seguito l’onda, che dico l’onda, lo tsunami di un’epoca, alla fine erano andati rincorrendo il mito dei loro genitori. Il padre e la madre sembravano tanto ignoranti, ma avevano coltivato il pensiero che studiare, essere bravi e competenti, sarebbe stato l’unico modo di evolvere.
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Molotov e bigodini, di Amedea Pennacchi, E/O Edizioni 2023, pp. 368
In questo romanzo di formazione dal titolo assolutamente fantastico, così come l’illustrazione in copertina, opera di Ginevra Rapisardi, Amedea Pennacchi racconta con la voce di una ragazza di quei tempi come è stato vivere gli anni Settanta. Anni figli del Sessantotto, della contestazione, delle lotte studentesche e operaie, anni in cui tutto era politica, in cui nascevano collettivi e gruppi extraparlamentari, alcuni dei quali poi avviati alla radicalizzazione e alla lotta armata. Erano anni in cui si pensava di attuare una rivoluzione di cui ciascuno doveva essere attore: la politica pervadeva tutto, dal pubblico al privato, dettava i comportamenti, come vestirsi, cosa leggere, come intendere i rapporti tra le persone. Era soprattutto la lotta di classe, la contrapposizione al capitalismo, la difesa del proletariato.
Attraverso il personaggio di Alice, Amedea Pennacchi, in questo memoir, rievoca quegli anni visti con gli occhi di una giovane donna. Alice, come tutta la generazione di quegli anni, nell’Italia delle lotte per i diritti civili e sociali, si ribella ai tabù e alle costrizioni familiari pensando di trovare nel comunismo uno strumento di emancipazione. All’inizio del romanzo Alice è una sedicenne, ultima di sette figli, nata in una famiglia cattolica e proletaria di Latina.
I fratelli e le sorelle più grandi avevano partecipato attivamente alle lotte del Sessantotto, e Alice aveva respirato in casa, con loro, quest’aria di rinnovamento; inizia così a formarsi una coscienza politica insieme alla voglia di godere di maggiore libertà personale; i genitori, però non la pensano allo stesso modo e le negano, anche con le botte, ogni richiesta.
A sedici anni diventa maoista; grazie ad una amica, inizia a frequentare un gruppo di militanti, il coordinatore del gruppo è Salvatore, un siciliano ventottenne che ha già un bambino. Salvatore era un amico di suo fratello Benedetto e aveva già sperimentato anche qualche mese di galera per un attentato. Alice è attratta da lui; per andare via di casa, lo sposa ancora prima dell’esame di maturità, va a vivere con lui prima a Cisterna e poi a Napoli.
Prendono casa in zona Materdei, in un vicolo che si arrampica in salita: un appartamento condiviso con un’altra coppia e con un terrazzo con una vista magnifica verso il mare e i quartieri della città. Alice si innamora subito della città, dei quartieri proletari, della gente, del calore che sente avvolgerla, del clima, dei vicoli con i panni stesi: qui si sente accolta e protetta. Salvatore e Alice aderiscono a Lotta Continua; Salvatore diviene il coordinatore della sezione di Bagnoli, e del gruppo di intervento all’Italsider. Lei oltre alle attività di volantinaggio davanti alle fabbriche, si iscrive all’università, a Lettere Moderne. Lo fa più che altro per compiacere la madre: la sua priorità è fare la rivoluzione, la rivoluzione è per lei un imperativo morale.
In questi anni a Napoli c’è grande fermento politico e intellettuale: tra le due grandi fabbriche, l’Italsider di Bagnoli e l’Alfasud di Pomigliano, tra gli extraparlamentari, il Pci e i sindacati, tra la Mensa Bambini Proletari e le lotte contro il carovita, Alice si trova sempre al centro delle manifestazioni. Durante il 1974, in un momento di tafferugli in tutta Italia, a Napoli i compagni di Lotta Continua si erano scontrati con i fascisti, e avevano indetto una grande manifestazione a Portici. Alice, ferma in un angolo della piazza, viene avvicinata da un compagno che le affida un pacco, chiedendole di nasconderlo nella borsa. Sorpresa, si rende conto che conteneva una molotov…
Lo scontro politico assumeva toni sempre più roventi: alcuni compagni lasciavano il gruppo per darsi alla lotta armata, qualcuno entrava nei Nuclei Armati Proletari. Un compagno rimane ucciso in una rapina. Altri militanti fuoriusciti fondano Prima Linea. Alice non sa cosa pensare, continua a studiare e dare esami, come molti si lascia andare ad un linguaggio radicale, ma un conto sono le parole, tutt’altro è passare ai fatti. Per rendersi autonoma accetta anche di lavorare come venditrice di bigodini elettrici; ma ben presto si lascia alle spalle anche questa esperienza che si rivela un ulteriore modo di sfruttare le persone povere dei quartieri. Le rimane solo il bel ricordo delle donne che ha conosciuto facendo le messe in pieghe gratis per dimostrare l’uso dei bigodini all’avanguardia.
In quel periodo lei e Salvatore si trasferiscono a Bagnoli, per essere più vicini alla fabbrica, e convivono con un’altra coppia di militanti, Enzo e Ida. La casa è frequentata da molti militanti, tra cui nomi noti.
Ogni volta che arrivava qualcuno da Roma veniva ospitato da Enzo e Ida. E così erano venuti a conoscere tutti i vertici di Lotta Continua: Adriano Sofri, Guido Viale, Giorgio Pietrostefani. Adriano Sofri era il più carismatico di tutti.
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Mentre Alice vive il suo impegno politico con convinzione, le cose con Salvatore non funzionano. Tra loro non c’è più complicità, non fanno l’amore da mesi, sono lontani. Alla fine decidono di separarsi. Alice ha ventidue anni: ora non è più solo “la moglie del siciliano”, ma una militante di Lotta Continua assegnata all’Alfasud di Pomigliano.
Alice si libera di questo rapporto che non le dava più niente e al quale, forse, si era aggrappata per conquistare la libertà dai vincoli familiari. Mentre continua a frequentare l’università a cui si appassiona, porta avanti le attività di volantinaggio davanti alla fabbrica e stringe amicizia con Mauro, un militante. Tramite lui, inizia a frequentare un gruppo di ragazzi molto intellettuali, presi dalla filosofia e dediti alla lettura di Adorno. Per Alice questa è una dimensione del tutto nuova: da un lato è incuriosita da questi giovani così distanti da lei, dall’altro ne è intimorita. Con loro sperimenta un punto di vista diverso, sia sulla politica che sui rapporti amorosi. Inizia ad emancipare il proprio modo di vivere le relazioni, tra trasgressione, impegno politico, letture, scoperta del sesso, collettivi femministi, viaggi in autostop, momenti di felicità e momenti di depressione.
I leader del Sessantotto, non importa se belli o brutti, erano così popolari e ambiti dalle ragazze che quasi superavano le rock star. Avendo soltanto l’imbarazzo della scelta, tendevano a prediligere, non si sa come e perché, le più belle del reame che poi, manco a farlo apposta, erano anche le più ricche.
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In quegli anni i compagni erano comunque dominanti: erano poche le donne con incarichi di coordinamento, da loro ci si aspettava un contributo più simile alla manovalanza – ciclostile, volantinaggio – e a stento potevano prendere la parola nelle assemblee. I leader sembravano emanare un fascino irresistibile e si circondavano di ragazzine adoranti, che li seguivano quasi come le groupies dei gruppi rock. Alice guarda a tutto questo con scetticismo e una certa insofferenza; eppure lei stessa aveva subito il fascino di Salvatore proprio in questo modo. Ma intanto il tempo è passato, ha fatto esperienza, è cresciuta e ha acquisito nuove consapevolezze. A tratti avverte un senso di scollamento verso il modo di fare lotta politica dei suoi vecchi compagni del collettivo di Lotta Continua.
Iniziano a formarsi i primi collettivi femministi e i gruppi di autocoscienza; Alice passa le giornate tra le estenuanti e fumose riunioni sulla linea politica, le uscite con gli amici, i cinema, le vacanze in autostop, legge moltissimo. Con sua grande soddisfazione, si laurea con centodieci e lode.
In quel periodo inizia una relazione con uno degli amici di Mauro; una relazione che lei vorrebbe più di coppia mentre lui, Gabriele, aspira ad un rapporto libero da costrizioni borghesi. Gabriele si rivela un tipo narcisista e individualista, un eterno scettico, un pessimista cosmico concentrato su se stesso. Alice rimarrà a lungo invischiata in questa relazione tossica, che tra alti e bassi, la tormenta fino a farle dubitare persino della sua capacità di essere autonoma e autodeterminata. Solo le amicizie femminili con le ragazze del collettivo femminista napoletano sanno darle serenità e senso di protezione.
Queste erano le amiche di Alice, confusionarie, caotiche, vitalistiche e pasticcione, ma c’erano. Erano riuscite a traviare anche una tedesca come Greta e un tetragono come Mauro. Per lei, se ci fosse stato bisogno, sarebbero state pronte a partire, a qualunque ora del giorno o della notte, tutte insieme e con un carico di allegria.
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I tempi intanto continuano a portare cambiamenti: nel 1976 si tiene l’ultimo congresso di Lotta Continua, esplodono le contraddizioni tra femministe arrabbiate e operai che giudicavano prioritaria la loro emancipazione dallo sfruttamento. Alla fine, sembra che ogni cosa sia destinata a finire: il movimento politico come lo avevano inteso fino ad allora. il collettivo, le amicizie, il sodalizio dei ragazzi adorniani.
Per svincolarsi dai legami tossici con Napoli, Alice si trasferisce a Roma, a casa di sua sorella Sofia, anche lei separata, che vive con i due figli. Per Alice inizia una nuova vita: dapprima è spaesata dalla perdita di riferimenti e amicizie, continua a pensare a Gabriele, le manca la vita che faceva a Napoli. Pian piano, riesce poi a costruirsi una rete di relazioni grazie ai contatti di sua sorella con un gruppo di sindacalisti suoi colleghi. Mantiene i contatti con le amiche di Napoli, con Mauro, che rimane il suo confidente, e intanto elabora il suo pensiero, si guarda dentro cercando di darsi delle risposte su di sé, sul suo approccio con gli uomini.
Continuava a chiedersi dove stesse andando. Rifletteva sul fatto che aveva sempre vissuto il presente nella prefigurazione di un futuro diverso, e, nel frattempo, non aveva fatto nulla per cambiare le sorti immediate, aveva lasciato ad altri l’iniziativa diretta o indiretta sul suo cambiamento.
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Inizia a lavorare per la rivista del sindacato dell’ENI, per la quale deve scrivere articoli sull’organizzaziobne del lavoro, il che la costringe a lunghe di ore di studio. Inizia nuove relazioni sentimentali, questa volta con un atteggiamento più determinato e svincolato: ora è lei a decidere come condurre il gioco, non si lascia imporre modi e tempi.
Mentre seguiamo la vita di Alice, nel romanzo incappiamo anche nei fatti storici e talvolta tragici del nostro Paese. Mescolando il tragico e il comico, Amedea Pennacchi ci racconta gli anni delle lotte sindacali, delle bombe in Piazza Fontana, dell’anarchico Pinelli volato giù dalla finestra della Questura di Milano durante un interrogatorio con il commissario Calabresi, il rapimento di Moro e l’uccisione della scorta. Attraverso le tante letture di Alice che vengono citate, possiamo capire quali erano i riferimenti culturali di quegli anni: dal Libretto rosso di Mao Tze-tung, ai Minima moralia di Adorno, da Le avanguardie artistiche del Novecento di Mario De Micheli, a Grammatica del vivere di David Cooper. E così pure con i film che vede al cinema, da Zabriskie Point di Antonioni, a Il fascino discreto della borghesia di Luis Buñuel, da L’altra faccia di mezzanotte di Jarrott, a Scene da un matrimonio di Bergman.
Un libro da leggere con grande attenzione, perché si impara molto su un periodo storico cruciale per la nostra società civile, visto in presa diretta con gli occhi e i sensi di chi lo ha vissuto sulla propria pelle; si ride molto ma si entra in un rapporto empatico con Alice che, in certi momenti, fa soffrire.
Qui potete leggere l’incipit del romanzo. A proposito di anni Settanta, vi rimando al mio post dedicato proprio a quel periodo.
Amedea Pennacchi è nata a Latina e oggi vive a Roma. È sposata e ha due figli. Dopo 40 anni di lavoro manageriale, da gennaio 2022 è Presidente di PWN Rome (Professional Women Network), un’associazione no profit che opera a favore della parità di genere e dell’empowerment femminile nelle organizzazioni. È anche la sorella di Antonio Pennacchi, vincitore del Premio Strega con Canale Mussolini nel 2010.


Proprio oggi c’era una bella recensione di questo romanzo sul manifesto
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Mi è piaciuto molto, e ho anche ritrovato tante cose vissute in quegli anni.
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