Una cultura della paura e una cultura della freddezza” aveva detto Leonides. “A Est la paura. A Ovest la freddezza. Nessuna delle due è una bella cosa. Ma sono due culture completamente diverse.”
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Donna blu, di Antje Rávik Strubel, Voland edizioni 2023, traduzione dal tedesco di Cristina Vezzaro, pp. 400
Il romanzo di Antje Rávik Strubel è un’opera complessa, sia per lo stile e l’impianto narrativo, sia per le tematiche sviluppate lungo la trama. Troviamo un piano narrativo privato, in cui seguiamo la vita di Adina da quando è adolescente al presente in cui è una giovane donna; il suo è stato un percorso travagliato segnato dalla perdita di fiducia in se stessa e nel prossimo, marcato in modo indelebile dalla violenza sessuale subita, scalfito e disilluso dal clima generale dei paesi europei attraverso cui viaggia e fa esperienza.
L’altro piano narrativo, nel seguire la vicenda privata della protagonista, fa allargare lo sguardo per abbracciare un continente, l’Europa, unita solo sulla carta e nei proclami di chi governa da un centro, Bruxelles, sempre più distante dalla marginalità di aree che, seppure limitrofe, appaiono come periferie secondarie.
Questo piano è affidato in modo superbo alla figura di Leonides, un estone europarlamentare che è consapevole di questa dicotomia tra Est e Ovest e lavora per combatterla. E Adina lo tocca con mano quando dalla Repubblica Ceca in cui è nata, si sposta in Germania (“un cartello blu con stelle gialle su cui era scritto Bundesrepublik Deutschland“), un paese che incarna questa polarizzazione addirittura al suo interno dove, nonostante la riunificazione, ancora sussiste una marcata disparità tra le zone dell’ex Germania est, rispetto a quella occidentale, pronta a dettare agende e condizioni a tutto il continente, dall’alto della propria auto-considerazione e del potere economico.
Le tematiche che emergono, la violenza sessuale e il divario tra Est e Ovest, l’identità di genere e le forme dell’amore, sono i temi concernenti la società contemporanea.
Adina, alla fine del suo travagliato percorso, si rifugia in Finlandia, dove incontra Leonides: una scelta, del personaggio sì, ma dell’autrice ovviamente, non casuale:
La Finlandia è la cerniera tra l’Est e l’Ovest: anima russa, design scandinavo.”
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All’inizio del romanzo, Adina, una giovane ceca che vive alla periferia di Helsinki, Finlandia, si trova in un appartamento in cui si nasconde da qualcosa, o qualcuno, mentre sta meditando di rivolgersi ad una associazione di tutela delle donne in pericolo, per offrire una testimonianza. Probabilmente è arrivata in seguito ad un evento traumatico, è quanto capiamo all’inizio, quando pochi sono i riferimenti che vengono offerti. Dal modo concitato e frammentario con cui la storia prende avvio, si immagina che la ragazza si trovi in uno stato di profondo turbamento, che sia come paralizzata dalla paura, è preda di attacchi di panico. Adina si manifesta attraverso le sue percezioni sensoriali, acutissime, quasi animalesche, in un continuo stato d’allerta.
Il suo orecchio capta i rumori all’interno e quelli provenienti dall’esterno, i suoi occhi vedono la luce dei lampioni e si fissano sugli arredi dell’appartamento in cui si aggira guardinga. Ma da cosa è fuggita?
Man mano che si procede nella lettura, si inizia ad indagare sul suo panico, legato a qualcosa di violento, con cui sta emotivamente combattendo e che, poi si svela, l’ha portata dalla Germania alla Finlandia. In questa prima parte l’autrice si dilunga molto nell’esplorare lo stato interiore della sua protagonista, svelando molto lentamente i dettagli sulla situazione. La narrazione si presenta in una forma frammentaria, intrecciata in modo complesso, e va faticosamente ricostruita; personalmente, ho fatto un po’ fatica in questo avvio, anche se credo che sia un effetto voluto, avrei preferito procedere in modo più diretto. Mentre da un lato l’autrice descrive con estrema precisione l’ambiente in cui la ragazza si trova e si nasconde – i lampioni arcuati con paralumi metallici, il fruscio delle foglie proviene da un sorbo, le cartoline appese sopra il lavello descritte con minuzia – dall’altro profonde un’inquietante e diffusa confusione, che si manifesta nell’affrontare le esperienze vissute dalla sua protagonista.
Procedendo nella lettura, apprendiamo che Adina è cresciuta in un villaggio nei Monti dei Giganti sul versante ceco, in una stazione sciistica. Cresciuta in una casa di donne, con la madre e la nonna, si sentiva un po’ come “l’ultimo dei mohicani” – come si definiva in una chat-room che frequentava – perché nella zona non c’erano altri ragazzi della sua età; i suoi coetanei erano tutti turisti che trascorrevano pochi giorni nella località. Da qui è maturato il suo desiderio di fuggire.

Durante un corso di lingua nel quartiere berlinese di Lichtenberg, incontra la fotografa Rickie, frequenta gli ambienti di una bohème lesbica e ottiene infine un tirocinio in una tenuta nella regione dell’Uckermark, ad ovest dell’Oder, – area della ex Repubblica Democratica, sotto l’influenza russa – presso un impresario dispotico e amante dei bagordi di nome Razlav Stein, che vuole costruire un centro culturale; per realizzarlo ha bisogno di qualcuno che possa finanziare il progetto, “un “moltiplicatore”, una figura importante nella politica culturale, che bisognava “sensibilizzare nei confronti dell’Europa dell’Est”. Entra in scena Johann Manfred Bengel, un uomo attempato, “un vegliardo in scarpe da ginnastica, con i capelli biondo-grigio e rughe marrone-rossiccio sul viso, davano l’impressione che stesse sempre al sole“, dai modi apparentemente gentili che però non riesce a controllare le proprie pulsioni. Dopo una terribile aggressione sessuale, Adina è costretta a fuggire, per finire a Helsinki.
Qui lavora in nero nella hall di un albergo di lusso e conosce un cliente, Leonides, politologo estone ed eurodeputato, nonché docente universitario. “Leonides Siilmann, con la sua forte miopia, ormai alla soglia dei quaranta e originario di un paese emergente dalla storia travagliata“, le offre un appiglio a cui aggrapparsi. “Con Leonides aveva riavuto indietro qualcosa. Lui l’aveva riportata a sé stessa“.
(Leo) “Ai tempi dell’Unione Sovietica le cose erano chiare” aveva detto Leonides. “All’epoca eravamo noi gli europei. Allora i russi volevano venire a tutti i costi a lavorare da noi. Eravamo quelli con i caffè eleganti. Quelli con il buon vino, le chiese e i compositori. Nessuno sputava per terra nei locali. Esportavamo macinacaffè di
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design e spremiagrumi elettrici a Mosca e nella Germania Est.” Sorridendo si era passato le mani sulle palpebre sotto gli occhiali. “Le nostre città risalgono al Medioevo. Sappiamo come usare le posate d’argento e una finlandese su due oggi viene da noi per andare dal parrucchiere.”
Tra loro inizia una relazione amorosa. Leonides congiunge in sé la cultura dell’Est Europa e quella dell’Ovest, è uno spirito raffinato e lotta per una nuova cultura della memoria che porti alla luce anche le “zone d’ombra” dello stalinismo, così come, attraverso il Processo di Norimberga, la comunità internazionale ha inteso definire e punire le responsabilità naziste.
Leonides soffre ancora del trauma dell’occupazione sovietica dell’Estonia, e dell’nfluenza russa sull’Europa dell’Est; è però insofferente anche rispetto a come gli stati dell’Europa occidentale guardano all’Europa dell’Est e Centrale, soprattutto alle zone che stavano oltre la cortina di ferro. Infatti, dice che dalla cortina di ferro si è passati ad una cortina d’argento.
“Finora abbiamo dovuto lottare con i nostri sentimenti di superiorità. Ora i nostri amici occidentali vogliono farci credere che abbiamo un complesso di inferiorità.”
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Leonides si batte anche per i diritti umani, ne fa una ragione di vita, gli manca però la sensibilità sufficiente per comprendere la sofferenza della ragazza.
Leonides con i suoi diritti umani. Come se uno potesse portarseli in giro nella tasca della giacca al pari di una chiavetta e distribuirli a tutti generosamente. Ne ha fatto un lavoro probo, così come altri, un intero apparato tenuto in piedi dai diritti umani.
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Adina in realtà cerca una via d’uscita dall’esilio interiore. Durante una serata in cui accompagna Leonides a un ricevimento, la situazione precipita. Adina fugge dal ricevimento, senza nemmeno avvisare Leonides, lasciando persino la sua giacca al guardaroba.
Nella parte finale, Adina guadagna fiducia nell’attivista per i diritti umani Kristiina, una vecchia conoscenza di Leo. Kristiina si prende cura di lei e vuole lottare per lei, anche Leonides si schiera dalla sua parte, ma non hanno fatto i conti con il cinismo del potere.

Mentre seguiamo il filo del racconto, si affaccia sulla scena un terzo piano narrativo, che si articola inizialmente in poche frasi per conquistare via via uno spazio crescente. Compare un io narrante femminile, una scrittrice, simile all’autrice, che come lei è immersa nella scrittura; poi si ha l’impressione che questo io sia sempre più fuso con la protagonista Adina, protagonista confusa nei suoi nomi diversi, Nina, Sala, Adina, mutevoli con lo scenario in cui si trova.
Nel porto di Helsinki questo io narrante conosce la “donna blu”, una figura attraente e allo stesso tempo misteriosa che sembra ravvivare la forza creativa e dominare lo spazio narrativo. Una presenza legata all’acqua: gli incontri al porto, la riva cioè il luogo di contatto tra la terraferma e il mare, e poi le maree, e la sete.
Poi mi chiede del mio libro. Se procedo, vuole sapere la donna blu. Se quella luce è qualcosa di cui valga la pena
scrivere. Sono forse un’autrice politica, mi interesso del presente?
Come dicevo, la struttura del romanzo mi ha spiazzato: Antje Rávik Strubel utilizza una narrazione che si sviluppa con un processo di prefigurazione; invece di ricorrere ai flashback, la trama si sviluppa a ritroso, anticipando per poi scivolare indietro nel passato. Mi è sembrata macchinosa e forzatamente ermetica. Ogni volta che sembra di avvicinarsi a ciò che è successo, c’è di nuovo un salto temporale, e sembra di perdere il contatto con la storia. Ma questo è forse più un limite mio. La storia, i messaggi che se ne traggono, la visione complessiva dal punto di vista socio-politico, invece, li ho molto apprezzati e compresi. Dunque, riconosco appieno il valore di questo romanzo complesso, come complessa è la realtà in cui siamo immersi.
Qui trovate l’incipit del romanzo.

Antje Rávik Strubel (Potsdam, 1974) è scrittrice e traduttrice dall’inglese (Virginia Woolf, Joan Didion, Lucia Berlin) e dallo svedese (Monika Fagerholm). La sua ricca produzione letteraria le è valsa numerosi premi oltre a residenze di scrittura e docenze presso svariate università. Con Donna blu, suo ultimo romanzo, si è aggiudicata nel 2021 il Deutscher Buchpreis.


Ho scoperto adesso che non ero più iscritta da te…….offfffffff…..che pasticciona che sono!!!!!
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Allora bentornata!!!
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Grazie mille pardon
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mi sono accorta che anch’io avevo perso il follow al tuo blog! ma che succede??
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Non lo so non ci sto capendo più nulla!
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🤔
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Sembra interessante questo libro
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In effetti lo è 👍 buona giornata 🍀
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Anche a te
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