Aveva trascorso anni e anni ad apportare infinitesimali cambiamenti; era ormai vicino al successo implorato al destino. Ma il Paese era crollato, l’Isola andata a rotoli e il Debuttante neanche era nato ufficialmente; era inesistente, non considerato, come condannato dal nome a rimanere un eterno esordiente.
pag. 200
Il veleno perfetto, di Sergej Lebedev, Keller editore 2023, traduzione dal russo di Rosa Mauro, pp. 272
Il romanzo di Sergej Lebedev è un thriller letterario, cupamente disturbante, in cui la trama si sviluppa attorno agli intrighi spionistici legati alla produzione di armi chimiche; lo scenario una mai nominata ma ovviamente riconoscibile superpotenza, la Russia, colta nella scia successiva al suo apice, durante l’epoca dell’URSS, e poi, dopo il suo crollo, nel contesto liquido e mutevole della riorganizzazione politica e strategica, le cui fila continuano ad essere tenute dai servizi segreti.
Una trama intrisa di veleni, quelli sintetizzati nei laboratori e intesi come armi da usare all’occorrenza, quelli morali che corrompono l’animo di chi non si preoccupa delle conseguenze, quelli psicologici legati al sospetto, al terrore di essere braccati, di diventare un bersaglio nel mirino di chi ti vuole eliminare. Ne esce un quadro realistico e inquietante, uno scenario che mette in luce quanto il pericolo e le deviazioni possano scappare di mano.
Al centro della storia, il destino di un potente veleno, chiamato il Debuttante, e quello del suo creatore, il chimico Kalitin. Kalitin è cresciuto nella Città (l’Isola), una cittadella segreta in cui venivano ingaggiati scienziati esperti di chimica e fisica per lavorare alla produzione di armi chimiche. Lì si viveva tagliati fuori da tutto: niente contatti col mondo esterno, si lavorava a vari livelli di segretezza, per difendere i segreti di Stato. Kalitin è ancora un bambino quando tutto cambia di colpo: studenti e insegnanti si trovano in mensa quando la notizia li investe in tutta la sua tragicità, presagio di un funesto futuro:
Al centro della scena era appeso il ritratto di un uomo con i baffi. Il ragazzino sapeva che la Città era stata creata per suo ordine diretto. Il ritratto aveva un nastro nero di traverso in un angolo.
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Morto Stalin, nella Città c’è ancora chi può portare avanti i programmi di sperimentazione: lo “zio” Igor, un influente scienziato di alto rango militare al cui cospetto sarà condotto quando, affascinato dal personaggio, decide di dedicarsi alla chimica. Kalitin era rimasto abbagliato dall’uniforme che aveva scoperto nell’armadio dello “zio” Igor: ricolma di medaglie e mostrine dorate, e di un simbolo a forma di serpente e una ciotola, di cui lui conosceva il significato, visto che anche suo padre era un chimico.
Ragazzo prodigio, Kalitin viene assegnato al Terzo Ingresso, il laboratorio più segreto, quello in cui potrà sperimentare e sviluppare le sue creature. Animato da narcisismo e dal faustiano ideale di perseguire la Conoscenza, si era dedicato alla sperimentazione di sostanze letali, come se ciò non fosse altro che un intento neutrale, anziché il modo per mettere a disposizione degli apparati statali armi micidiali. Ma il crollo dell’URSS – un apparato statale ritenuto incrollabile – negli anni Novanta, porta al fallimento del suo progetto. E Kalitin, mosso da una gran voglia di rivalsa e un malcelato desiderio di vendetta, fugge nell’ex DDR, la Germania dell’Est dei tempi della Cortina di ferro, ora non più un Paese amico.
Le sue non erano state ragioni politiche, ma semplicemente pensava che le sue ricerche non sarebbero state più necessarie. Che tutto il laboratorio e le ricerche sarebbero stati dismessi, proprio nel momento in cui era riuscito a sintetizzare la più micidiale arma, il veleno perfetto, capace di uccidere all’istante, e non ritracciabile.
Anni dopo la fuga all’estero, Kalitin si rende conto del suo errore miope. Aveva sognato di continuare il suo lavoro nel Paese in cui era fuggito, sognava laboratori moderni e attrezzati, in stile occidentale, e invece, dopo gli interminabili interrogatori e screening (l’unica cosa su cui Kalitin aveva taciuto era l’esistenza del Debuttante e gli esperimenti sui ‘manichini’), gli viene dato solo un misero, anche se ben pagato, ruolo di consulente freelance per le indagini sulle armi chimiche. Si rende conto di essere stato semplicemente scartato astutamente. Era molto più economico pagargli lo stipendio, tenerlo sotto controllo, piuttosto che combattere in giro per il mondo con i mostri che poteva produrre.
Ormai anziano e malato, vive nascosto in una baita in una valle montana; quando viene a sapere che una versione del suo veleno è stato usato per uccidere un comandante durante la guerra cecena, non sembra nemmeno toccato dalla brutalità delle azioni, ma piuttosto infastidito dal fatto che il suo preparato sia stato usato con successo senza il suo coinvolgimento.
Quando, però, un altro fuoriuscito viene ucciso verosimilmente col suo veleno, Kalitin è sospettato di avere venduto la sua creatura ai servizi del Paese che lo ospita; due sicari vengono spediti a cercarlo e ucciderlo, naturalmente con il suo veleno, il Debuttante. Ormai è consapevole che, nonostante tutte le cautele e le protezioni che gli sono stati garantiti, se i servizi del suo ex Paese lo vogliono trovare, lo troveranno, e se la condanna è di morte, verrà eseguita.
La sola idea che il Debuttante fosse lì vicino, in mani estranee, gli diede le vertigini. Ricordò con chiarezza il viso blu di Vera, inumano. Cosa gli sarebbe costato alla vigilia della fuga distruggere tutti gli altri esemplari? Del resto era stato nel laboratorio, ma non se l’era sentita. Gli sarebbe dispiaciuto troppo…
Pag. 220
Sulle sue tracce si mettono il veterano Šeršnev e il tecnico Gebrenjiuk. Nonostante tutti gli imprevisti che capitano durante il loro viaggio, e che instillano in Šeršnev il dubbio che siano stati intercettati e che li si voglia eliminare, arrivano a destinazione. Riusciranno ad eliminare Kalitin?
La circolarità degli eventi è uno dei perni attorno cui ruota tutto il romanzo. A partire dall’Isola, questo non-luogo, che non esiste sulle mappe e nei documenti ufficiali. L’Isola ha subito molte trasformazioni nel corso del tempo, a partire dagli antichi monaci e dalle conversioni forzate, sfociati nel momento di splendore testimoniato dal superbo monastero affrescato che poi, con l’avvento dei bolscevichi era stato deturpato. L’identità dell’Isola poi era mutata: campo di prigionia, poi di sterminio (non vi viene in mente Arcipelago Gulag di Aleksandr Solženicyn?). L’Isola diventa un laboratorio dove i tedeschi iniziano a produrre armi chimiche (“Kalitin si era rammaricato di non essere stato là, di non aver vissuto in quell’epoca“), dopo la prima guerra mondiale, salvo poi tornare in mano ai sovietici, dopo la seconda guerra mondiale. Qui, lo zio Igor, ricrea il laboratorio per produrre armi chimiche all’avanguardia: è proprio qui che Kalitin viene ingaggiato, ed è appunto qui che crea il Debuttante. Ma il crollo dell’URSS vedrà l’abbandono dei laboratori e tutto ricomincerà daccapo.
La circolarità investe anche Šeršnev, il sicario; durante il viaggio alla ricerca di Kalitin, si imbatte in un ragazzo ceceno che aveva torturato e dato ordine di uccidere. Evidentemente il suo ordine non era stato eseguito e ora questa visione dal passato lo turba profondamente. Ma Lebedev insiste sulla circolarità sfruttando ancora Šeršnev: mimetizzato tra i visitatori di un campo di sterminio in Germania, – mentre è alla ricerca di Kalitin -, rimane profondamente turbato dalle foto che testimoniano gli orrori perpetrati. Se da bambino aveva sognato di combattere contro i tedeschi, cioè i cattivi, che cosa era poi diventato da grande, se non un carnefice? E non basta dirsi che dietro il “suo” filo spinato non c’erano prigionieri ma nemici per potersi assolvere.
Sapeva che in questo caso si era trattato d’altro. Spiacevole, ma necessario. (..) Cionondimeno, la somiglianza visiva saltava talmente tanto agli occhi da inchiodarlo al muro.
Pag. 233
Altro elemento di circolarità: Kalitin, mentre cerca di sfuggire ai sicari, si rifugia presso il prete del paesino in cui si nasconde; il prete gli racconta di essere figlio di un aguzzino nazista, di essere stato anche lui perseguitato dai servizi segreti sovietici che lo volevano convincere a diventare un loro informatore, e di essere stato avvelenato con una sostanza come il Debuttante. È sopravvissuto miracolosamente a questo attacco fatale, ma il suo volto è stato definitivamente deturpato, come a volere mantenere memoria di ciò che gli è accaduto.
Lebedev fa un uso magistrale degli espedienti tipici del thriller di spionaggio per sondare in profondità l’animo umano quando entra in un doppio loop: quello del sospetto, il tarlo che assale chiunque lavori al soldo dei Servizi, e che lo rende sia carnefice che vittima; e quello dello scienziato alla ricerca della conoscenza suprema, di faustiana memoria, pronti a non considerare le conseguenze ma solo il proprio successo, noncurante che gli esperimenti vengano fatti su “manichini”, che altri non sono che prigionieri condannati a morte, né tantomeno dell’uso che verrà fatto della propria invenzione.
Il romanzo di Lebedev (e vi consiglio vivamente di leggere anche Il confine dell’oblio, che ho recensito) è un agghiacciante percorso che conduce il lettore lungo i sentieri delle aberranti logiche di annientamento dei nemici, con qualunque arma, purché micidiale, e senza curarsi delle sofferenze causate. Lo fa ponendo questioni etiche e morali, attraverso un racconto che si addentra nella Storia recente per poi puntare all’attualità, lasciando al lettore la decisione di cosa pensare di tutto questo.
Come già accaduto con Il confine dell’oblio, Il veleno perfetto è frutto di un lungo lavoro di documentazione, che lo rende un’opera di fantasia così verosimile che risulta difficile non vederci specchiata la più nera realtà.
Qui potete leggere l’incipit del romanzo.

Poeta, saggista e giornalista, Sergej Lebedev è nato a Mosca nel 1981. Ha lavorato per sette anni in spedizioni geologiche nella Russia settentrionale e in Asia centrale. Oggi è una delle voci più importanti della nuova letteratura russa. Per Keller editore sono stati pubblicati i suoi romanzi Il confine dell’oblio (2018) e Gente d’agosto (2022).

