Questo testo è un monumento, un muro del pianto, qualora i morti e chi li commemora non abbiano altro luogo dove incontrarsi se non presso un muro di parole. Un muro che unisce vivi e morti.
Il confine dell’oblio, di Sergej Lebedev, Keller editore 2018, traduzione di Rosa Mauro
Lebedev ci chiede di seguirlo in questo viaggio a ritroso nella sua memoria personale, nella memoria collettiva di una nazione, e nella memoria geografica dove l’opera dell’uomo ha plasmato il territorio con cicatrici indelebili. Una discesa verso l’orrore: quello perpetrato contro gli uomini dall’ideologia, quello inferto alla natura dalla cieca volontà di sottometterla, e quello impresso sulla memoria collettiva per livellarla. Tre aspetti dello stesso scempio, dopo il quale, per potere rinascere, può solo essere evocato il potere della parola, unico bene intangibile al servizio della memoria, unico cemento capace di ricostruire un mondo.
Il buio dei giorni d’inverno moltiplica le lacune della memoria, riducendola all’alone di luce di una lampada da tavolo; occorre passare da un singolo ricordo all’altro, come quando si proceda di villaggio in villaggio impantanandosi nella neve, smarrendo la strada, captando il ronzio dei cavi elettrici a indicarci il percorso. (..)
ho percorso il Paese da un capo all’altro, scoprendo così che il destino ha un campo di attrazione più vasto di quanto crediamo. Le mie partenze, il lavoro in località remote, sono sempre stati una via di ritorno verso ciò da cui tentavo di allontanarmi. (..) Il mio percorso attraverso questo territorio trasformato da un lager divenne un viaggio di ritorno: verso Nonno Due, la sua vita e il suo operato.
La trama di questo libro – che oscilla tra narrativa, memoir e reportage, con una sfumatura gialla data dalla tensione alla verità – si dipana a partire dall’infanzia del protagonista, in relazione alla sua famiglia ma, soprattutto, in relazione alla figura enigmatica di Nonno Due. Questi, è il vicino di casa cieco e misterioso: di lui non si sa nulla, né si vuole indagare, temendo di scoprire verità scomode, preferendo il silenzio tipico di una società che cerca di rimuovere il passato ignorandolo. Eppure la vita del protagonista è legata doppiamente a quella del vecchio cieco: è stato lui ad insistere perché venisse al mondo quando alla madre fu consigliato di abortire per motivi di salute, ed è ancora lui a salvargli la vita per mezzo di una trasfusione di sangue quando il ragazzino, azzannato da un cane, stava per morire. Fu, invece, il vecchio a morire, la trasfusione rivelandosi fatale; ma la sua vita, entrata in circolo nel corpo del ragazzino, lo costringe a volere indagare che cosa esattamente gli sia arrivato in eredità attraverso quel liquido vitale. Una eredità che cerca di eclissarsi dietro una cortina di oblio forzato:
Nonno Due se ne era andato nell’anonimato, nello stesso modo in cui era vissuto, tanto da presupporre l’esistenza di un servizio speciale preposto alla cancellazione totale delle persone.
Inutile dire che questo “servizio speciale” non aveva i connotati della fantasia, ma era bensì la strategia sottesa alle deportazioni di massa, alla costruzione di gulag, di villaggi per lavori forzati alla periferia della nazione, in quel nord siberiano in cui era molto facile cancellare ogni traccia di milioni di esistenze.
Mi fu chiara la scelta di deportare nella taiga e nella tundra: in questo modo le persone venivano estirpate dalla comunità, estromesse dalla Storia; la loro morte non avveniva nella Storia, ma nella geografia.
E dunque, il protagonista-narratore, una volta divenuto adulto e dopo avere scelto il mestiere di geologo, affronta “il viaggio”, inteso come ricerca della verità in merito all’uomo a cui deve la vita, ma divenendo man mano viaggio attraverso la Storia e la geografia della follia che ha devastato un’intera nazione, non solo nel momento in cui è avvenuta, ma ripercuotendosi sul futuro delle generazioni a venire, in una specie di frana di massi che, rotolando, hanno travolto tutto. Lebedev vuole varcare il confine dell’oblio, vuole scavalcare il filo spinato dell’amnesia collettiva che cerca di rimuovere il passato ignorandolo, mentre le ferite ad esso collegate, sono ancora da curare.

Attraverso la scrittura ricca e precisa dell’autore, passando attraverso fasi narrative e fasi più riflessive, veniamo portati, quasi fisicamente, in quelle lande desolate dove tutto il peggio si è compiuto, dove si è operata una sistematica cancellazione di ogni individualità, massificando ogni aspetto della vita. Si arriva in cittadine create dal nulla in territori ricchi di giacimenti minerali da sfruttare, dove la vita – e non sempre per libera scelta – ruotava attorno ai turni di lavoro massacranti, alle gare a chi riusciva ad estrarre più minerale: un sistema perfetto per spremere al massimo gli operai per ottenere sempre maggiori quantità di estratto. Cittadine che non offrivano niente oltre a case tirate su in economia, capaci solo di garantire un freddo tetto sulla testa. Luoghi che anche oggi, pur essendo passati attraverso i cambiamenti della politica e dell’economia della nazione, portano su di sé il marchio della desolazione.
Mi era già capitato di visitare luoghi del genere, ma allora, per la prima volta, compresi con chiarezza come i banditi avessero vinto, come la colonia penale avesse avuto la meglio su tutto il resto. Non era scomparsa, semplicemente si era plasmata nel paesaggio, spezzettandosi, e ciascun pezzo si era incastonato, cambiando tutto attorno a sé, nell’habitat umano. (..)
La città sarebbe esistita fin quando non si fosse esaurita la miniera nelle sue vicinanze (..) Non era sorta nel punto focale di destini storici, neppure al crocevia di interessi militari o commerciali, bensì accanto a un’enorme tasca di terra, da cui estrarre ricchezza. Era stata tirata su per decisione delle autorità, le quali avevano trasferito al Nord migliaia di lavoratori; si era sviluppata da baracche e costruzioni temporanee e non aveva mai perso l’atmosfera gelida e morta del quartiere appena edificato, dell’officina, né l’odore di cenci impregnati di grasso e di tubi marciti.
Proprio questo aspetto, risulta chiarissimo nei due reportage di Jacek Hugo-Bader: “I diari della Kolyma” e “Febbre bianca” . Anch’essi raccontano come l’annientamento che si è perpetrato negli anni più bui abbia lasciato un vuoto difficile da colmare.
Il libro di Lebedev è una lettura avvincente e foriera di molte riflessioni; una storia nella Storia, un punto di vista interno, di chi vive nella Russia post comunista, post perestrojka, neo capitalista e un po’ banditesca. Certo, il volto della Russia attuale non è solo questo, ma, soprattutto in certi suoi territori – nel nord periferico – l’aria che tira è davvero cupa.
Incipit da leggere qui.
Wow, sei tornata con una gran lettura!💙 Spero che le vacanze siano andate bene!
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Ciao Baylee!! che bello tornare sul blog e ritrovare gli amici! Sto navigando tra i vari blog perché sono stata assente per un bel po’…. d’estate lavoro (affitto delle stanze nella mia casa in campagna e quindi ho gli ospiti da gestire), poi mia figlia si è trasferita a Lione per l’università quindi ne ho approfittato per stare là con lei. Però sono riuscita anche a leggere qualche bel libro, tipo questo, e nei prossimi giorni ve ne parlerò. Spero che anche tu abbia avuto un periodo di riposo e di vacanza. Ed ora si torna alle buone vecchie abitudini! Grazie del tuo benvenuto
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Allora hai avuto un mese bello intenso! Io non sono stata in vacanza e ho tenuto compagnia a chi come me è rimasto a casa!😜 Mi fa piacere rileggerti, mi sei mancata sulla blogosfera!💙
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Anche a me sei mancata, e con te tutti gli amici che seguo. Questo è un bel motivo per tornare dalle vacanze
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💙💙💙
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Che bellezza, che gioia leggere i tuoi splendidi scritti!
Sei in grado di coinvolgermi sapientemente; in effetti ho continuato a rileggere “il buio dei giorni d’inverno moltiplica le lacune della memoria, riducendola all’alone di luce di una lampada da tavolo; occorre passare da un singolo ricordo all’altro, come quando si procede di villaggio in villaggio…”
Voglio scoprire, leggendo questo libro, la figura di Nonno Due
Ti mando un caro saluto e ti auguro di vivere un felice fine settimana
Adriana
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Grazie Adriana, anche a te auguro ore felici
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Grazie! Credo proprio che lo cercherò, mi sembra un libro che si abbia il dovere di leggere
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ed è anche ben scritto! ciao!!
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Non riesco a star dietro al tuo ritmo di lettura … però quanti nuovi spunti interessanti 💕💕
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Ah ah ah!!! Alcuni di questi li ho letti in agosto, ma sto scrivendo i post in questi giorni… un abbraccio, Alessandra
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Un abbraccio a te, carissima Pina 😊😊
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