Quando è forte il dolore sembra fame.
Pag.46
MAW – Una mostruosa vendetta contro il patriarcato di Jude E. S. Doyle, illustrazioni A. L. Kaplan, colori Fabiana Mascolo. Edizioni Tlon 2023, pp. 128
Recensione di Giovanni Savelli
La storia
Wendy è bionda, un marito ricco, due figli che le vogliono bene e un senso di vuoto da donna agiata che ha molto tempo libero a disposizione e non sa bene come riempirlo.
Marion dai capelli corvini e lo sguardo sfuggente è la sorella ribelle, con una dipendenza da alcool e un trauma subito in passato a tormentarla. Vive alla giornata, trattenendo il dolore, senza dare sfogo alla rabbia.
È Wendy a prendere l’iniziativa. Iscrive lei e la sorella a un ritiro per sole donne in una comune sull’isola di Angizia. Tenete presente il nome perché non è stato scelto a caso. Da qui prende avvio la storia di MAW – Una mostruosa vendetta contro il patriarcato, dove le fauci (MAW) del titolo si spalancano di fronte alla lettrice, al lettore in un abisso nel quale è impossibile non specchiarsi. Ce lo rammenta Nietzsche, casomai ce ne fossimo dimenticati. Siamo chiamati ad assistere a una rappresentazione del femminile dove sacro e mostruoso diventano espressione di una forza primigenia da cui scaturisce la vita e nell’atto stesso di darla, la morte.
La graphic novel scritta da Jude Ellison S. Doyle, illustrata da A. L. Kaplan con i colori di Fabiana Mascolo e pubblicata da Edizioni Tlon è un atto radicale di femminismo narrativo, che adotta topoi provenienti dall’horror e dal fantasy, dal cinema di genere e dalla mitologia, in una contaminazione che suscita orrore, tenerezza, rabbia, disgusto, meraviglia… in un gesto che è quello della vera scrittura, capace di arrivare al midollo pulsante delle cose.

MAW – Una mostruosa vendetta contro il patriarcato
Non si resta immuni dalle radiazioni emotive sprigionate dalle tavole di MAW. Agisce a livello sottocutaneo con la stessa spietata pazienza di una medicina tanto necessaria quanto dolorosa nella sua azione curativa. Si manifesta nel corpo da principio, con movimenti oculari che si fanno più rapidi, mentre i battiti del cuore accelerano progressivamente mano a mano che il mostruoso del titolo si condensa in rappresentazione visiva di dolore e rabbia interiori. E qualcosa sotto traccia inizia a manifestarsi: fastidio, inquietudine; stiamo per uscire dalla zona di comfort ed entrare in quella del femminile. Scordatevi il romantico, per chi ancora lo rammenta, femminino sacro, perché qui siamo dalle parti di Donna Haraway, di un femminile tentacolare, abissale, più vicino ai Grandi Antichi di Lovecraft e alle forze ctonie di una natura sotterranea.

Il femminile di Jude Doyle ha a che vedere con la vendetta e il sacrificio (del maschio possibilmente), con divinità ancestrali, trans-specie che conferiscono il potere di urlare il proprio dolore, trasformandolo, nell’atto stesso di gridarlo al mondo, in rabbia vendicativa e furia catartica. L’isola che Wendy e Marion raggiungono per il loro ritiro, dove ad accoglierle troveranno una comune di donne guidata dalla leader Diana Spiro, è l’Angizia adorata dai popoli Osco-Umbri. Divinità ctonia, sotterranea, associata al culto dei serpenti e della fecondità. Una Grande Dea (non sarebbe male rileggere Marija Gimbutas) più antica delle divinità solari, toponimo del luogo dove donne come Wendy e Marion si ritirano per riacquistare il potere perduto e nominare il dolore.
Perché non è facile dare un nome a ciò che ci tormenta. Il Boogeyman è un senza nome, It l’orrore per eccellenza è senza nome e restando dalle parti nostre l’Innominato è, per l’appunto, innominato (tutti maschi, per inciso). Da qui una frase che mi risuona nella mente al termine della lettura: “quando è forte il dolore sembra fame” e la fame di Marion è una fame che cresce e si propaga dentro di lei come un virus. Questa fame non pensa a lei, non cerca né comprensione né cura: la sua fame “vuole solo sangue”. Come si può pensare di dare un nome a qualcosa di così oscuro, viscerale e potente. Dare un nome significa circoscrivere a un’onomastica buona per santi ed eroi, dove la misura della giustizia è data dal sacrificio di sé e dal martirio. Ma le fauci sono quanto di più distante dal sacrificio di sé, se ad averle siete voi. Provate a chiedere allo squalo del film di mettersi a pancia in su perché avete intenzione di arpionarlo, ferirlo o dio ce ne scampi abusare di lui. Ma alla donna sì, il sacrificio viene chiesto. Nell’abuso, nel suo silenzio e nella mortificazione del suo corpo. Le cose cambiano e parecchio se la natura ti equipaggia di fauci pronte a lacerare, azzannare, divorare.
È nella trasmutazione del dolore che Marion trova, se non la libertà, concetto sulla cui natura Jude Doyle declina la responsabilità dell’interpretazione alla filosofia di chi legge, un passaggio. Il dolore è una porta. E se nei sei la vittima non può che essere la soglia dalla quale i mostri sono entrati. Ma c’è anche un’altra possibilità. Che quella porta diventi la via dalla quale i mostri possano finalmente venire fuori. Espulsi all’esterno del pozzo, tirandoti fuori dall’abisso e facendoti sentire parte del tutto. Chissà, forse la liberazione è proprio questa: diventare un tutto con il nostro dolore, divorarlo, farlo a brandelli sempre più piccoli fino a farlo scomparire.

Conclusione
MAW è una lettura mostruosa che parla di cose mostruose impiegando la scrittura calibrata di Jude Ellison S. Doyle in ogni tavola magistralmente illustrata da A. L. Kaplan con i colori di Fabiana Mascolo. C’è quanto basta nelle sue pagine per lasciare spazio all’immaginazione, senza mai inciampare in un voyeurismo dell’orrore fine a se stesso. La tensione è mantenuta alta, punteggiata di dialoghi capaci di rovesciare i ruoli consueti di vittima e carnefice, in una multiforme rappresentazione della nostra società (patriarcale fino al midollo), che lascia attoniti di fronte alle sue antinomie. Per descrivere tutto questo c’è bisogno di quella che Donna Haraway chiama FS: un fatto fantascientifico. Per narrare un orrore così grande come un abuso sessuale fatti e favole necessitano gli uni degli altri. Il media narrativo adottato da Jude Law è sia l’uno che l’altro: impossibile senza l’abilità visiva di Kaplan e Mascolo. Necessario nelle parole attraverso cui Jude Doyle conferisce voce e corpo alle donne della sua storia. Perché qui non ci sono solo Marion, Wendy, la sedicente guru Diana Spiro e tutte le altre donne e uomini compresi, ma ci siamo anche noi che guardiamo all’abisso pensando di esserne fuori.

Jude Ellison Sady Doyle vive nello stato di New York e scrive di femminismo, cinema, letteratura e cultura di massa per numerosi blog e riviste online.
La sua firma è apparsa su The Guardian, Elle, The Atlantic e sul magazine GEN di Medium, che ne ospita una rubrica settimanale.
A.L. Kaplan è un acclamato fumettista specializzato nelle narrazioni queer in ambito sci-fi e horror. Ha pubblicato con DC Comics e BOOM!, e ha collaborato con R.L. Stine e Jim Henson.
Fabiana Mascolo è una colorista e fumettista italiana, docente alla Scuola Romana dei Fumetti. Ha pubblicato, tra gli altri, con Edizioni BD e SaldaPress.


sembra molto interessante
di recente ho finalmente (trovato) comprato Il mostruoso femminile, un po’ mi ci hai fatto pensare
inoltre, interessante che sul mio dizionario di mitologia classica c’è scritto che angizia è uno dei nomi con cui è chiamata Medea dai marsi, mentre in un’altra versione è una delle sorelle di medea; cmq sempre legata alla vendetta contro l’uomo uu
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grazie per la precisazione…. La cara Medea….non fa sconti a nessuno…
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ma è una delle versioni
chissà se ne esistono altre, da altre popolazioni eh
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in effetti i miti vengono assimilati e reinterpretati nelle diverse culture
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Faccio solo un appunto: da quando il femminino sacro è “romantico”? Solo nella versione addomesticata per borghesi annoiati. Il femminino di dee come Diana è sempre stato “horror”.
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lascio a Giovanni la risposta…
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La ringrazio per l’appunto Gaberricci, mi da l’opportunità di chiarire. In effetti ha colto nel segno quando scrive che il femminino è romantico nella sua “versione addomesticata per borghesi annoiati”: concordo appieno con lei. Eppure nel romanticismo è comunque presente un’idea del femminino eterno, sacro in quanto dispensatore di salvezza ed elevazione spirituale: penso a Goethe in questo caso. Avrei senz’altro dovuto spiegarmi meglio e di questo me ne rammarico.
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Grazie Giovanni per il chiarimento!
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Chiaro. Non c’è bisogno che ci diamo del lei :-).
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