Cenere in bocca, di Brenda Navarro, La Nuova Frontiera 2023, traduzione dallo spagnolo (Messico) di Gina Maneri, pp. 192

Diego è diventato un brusio nel minuto di silenzio che hanno fatto in aula e sussurri colpevoli perché in fondo, anche se era fatto così, com’era fatto lui, diverso, culero, taciturno, rompiballe, era così, un bravo ragazzo. Il Cule è diventato buono, un bravo ragazzo, ipso facto, per diventare poi un meme… Per diventare poi una battuta, una risata e una presa per i fondelli.

Pag. 22

Un romanzo duro e realistico, ben lontano da quelle narrazioni intrise di malinconia legata al dovere lasciare il proprio paese, i familiari, il cibo simbolo degli affetti e della tradizione; o a quelle narrazioni che parlano di rinascita, di affermazione, di evoluzione.
Si tratta di un romanzo che dà sì voce all’esperienza della migrazione ma sottolineando quando sia davvero difficile descriverla, seppure in un romanzo come questo, incalzante, diretto, perfino brutale in certi momenti, senza filtri, dove anche la scrittura – un fiume in piena che tiene insieme parti narrative e dialoghi mescolati senza la mediazione della punteggiatura e dei segni grafici a fare tirare il fiato – riflette il malessere, la sofferenza psicologica, la mancanza. In presa diretta, è la protagonista che si racconta, a partire dal suicidio del fratello, e per farlo deve raccontare se stessa, sua madre, il fratello, il passato e il presente, la vita in Messico e la vita in Spagna, Madrid e Barcellona. Le persone che sono entrate nella sua vita, e quelle che ne sono uscite.

Tanti i temi che scaturiscono da questa narrazione-fiume: la migrazione obbligata, la xenofobia, lo sfruttamento lavorativo, l’incominicabilità, il disgregarsi degli affetti, il femminismo, le miserie del capitalismo, le difficoltà nel rapporto madre-figlia e cosa succede prima e dopo un suicidio. Depressione, sradicamento, machismo e violenza.

Il romanzo inizia con il suicidio di Diego, il fratello della protagonista, un fatto che sconvolge e cambia in modo definitivo tutto, facendo crollare anche quel poco che si cercava di tenere in piedi. Navarro mescola continuamente il presente con flashback dell’infanzia e dell’adolescenza della famiglia. Attraverso i suoi ricordi cerca di capire perché suo fratello ha preso la drammatica decisione di buttarsi da una finestra.

La storia che ci racconta Brenda Navarro è quella di una famiglia rotta: nove anni di lontananza della madre, costretta ad emigrare in Spagna per potere mantenere i due figli piccoli, rimasti in Messico con i nonni; una figlia bambina costretta a fare da mamma ad un fratello piccolo; un vuoto d’affetto, senso di estraniamento. E poi il salto di là, una distanza siderale non misurabile in chilometri, ma in termini di difficile adattamento, specie quando ti senti non accettato, spesso insultato (“Pinches messicani culeros, güey, ándale, tortilla, sombrero, güey. Órale, güey”), sei povero, devi condividere un alloggio modesto, insomma ti senti inferiore. E una rabbia che monta dentro, un risentimento, una voglia di ribellarsi, di cercare punti di riferimento, per quanto labili, aggrapparsi a chi ti è più simile. Un viaggio fisico ed emotivo pieno di inciampi, una mappa di lavori precari che non portano da nessuna parte, un futuro che appare come avvolto da una nebbia che, se si alza, lascia solo il nulla.

Difficile accettare di essere sempre trattati come non-persone, senza diritti, privati della dignità. E poi fare i conti con il ritorno in un paese senza speranza, un luogo brutale, duro, che pure è il luogo da cui hai origine. I migranti fuggono dalla violenza sistemica del Messico e giungono in un paese dove la violenza non è rumorosa ma silenziosa, spesso consapevolmente agita nell’indifferenza. La esercitano l’economia sommersa, la condizione di classe, il colore della pelle, la freddezza delle grandi città, l’amministrazione pubblica impotente, il permesso di soggiorno che non arriva. Goccia a goccia. Fino a quando diventa un oceano in cui si rischia di annegare.

Non aspettatevi i toni del melodramma, il sentimentalismo, né la dialettica dei luoghi comuni; i temi sono quelli – la perdita di identità in un luogo estraneo e ostile, la discriminazione, la perdita, il lutto, il rapporto madre-figlia… -, ma è il modo in cui vengono a galla e segnano la vita dei protagonisti a dirci quanto sia difficile rappresentarli se non vivendoli sulla propria pelle, mostrandone gli effetti per accumulo di esperienze. I protagonisti non dicono mai “quanto mi sento discriminato“: lo vivono attraverso ciò che gli accade ed è il lettore a trarre quelle laceranti conclusioni. E la potenza della narrazione sta tutta nella cifra stilistica dell’autrice, una voce inconfondibile ed essenziale, che va dritta al punto.

Qui potete leggere l’incipit del romanzo.

Brenda Navarro è nata a Città del Messico nel 1982. Ha studiato Sociologia ed Economia Femminista e ha conseguito un Master in Studi di genere all’Università di Barcellona. È autrice di due romanzi oltre che di racconti, saggi e poesia e ha lavorato per diverse ONG per i diritti umani. Case vuote, il suo primo romanzo, ha ricevuto il Premio Tigre Juan, l’English Pen Translation Award ed è stato tradotto in diverse lingue.