Moltissime persone, tra cui scrittrici e scrittori, amano il caffè come luogo d’elezione per la scrittura. Ma non solo loro: pittori, filosofi, musicisti, attori, artisti di ogni genere ne sono stati da sempre frequentatori e spesso ne hanno fatto il soggetto delle loro opere.
Sarà l’atmosfera, sarà il via vai, sarà la facilità di aggregazione e la disponibilità delle consumazioni, insomma i caffè hanno esercitato e tuttora esercitano un fascino imperituro. Negli ultimi anni, soprattutto nelle grandi città, sono tornati di moda i caffè letterari, e ne fioriscono in continuazione, almeno, per quel che vedo a Milano.

Si tratta di una tradizione culturale e di aggregazione che arriva da lontano nel tempo. Il caffè letterario nasce in Francia tra la fine del Seicento e l’inizio del Settecento, per poi diffondersi e prendere piede in tutta Europa, anche in Italia, dove divenne il simbolo dell’Illuminismo, del Risorgimento e della modernità. I Caffè Letterari divennero ritrovo e simbolo della cultura borghese. Nei caffè letterari si incontravano scrittori, filosofi, artisti e politici, che discutevano di letteratura, arte, filosofia e politica. Nei caffè letterari si creavano le idee che hanno cambiato la storia, si faceva anche propaganda per alcuni movimenti delle Avanguardie artistiche, le quali videro la nascita e l’evoluzione in parallelo alle correnti filosofiche.
Alla fine degli anni Ottanta dell’Ottocento, vari scrittori come Paul Verlaine, Arthur Rimbaud e Stéphane Mallarmé presero l’abitudine di incontrarsi in quello che sarebbe diventato uno dei più iconici caffé parigini per bere l’Assenzio. Il caffè Les Deux Magots, situato a Saint-Germain-des-Prés, cominciò così ad avere un ruolo importante nella vita culturale parigina.
Negli anni Venti del Novecento, il caffè divenne un ritrovo dei surrealisti sotto l’egida di André Breton, ben prima che gli esistenzialisti facessero l’alba nelle caves del quartiere.
Nel 1933 un gruppetto di amici surrealisti seduti nella terrasse del Caffè appresero che il premio Goncourt era stato conferito ad André Malraux per il suo romanzo La condizione umana (La Condition humaine). Ritenendo questo premio troppo accademico, questi surrealisti decisero di fondare il loro premio letterario che chiamarono prix des Deux Magots.

Guillaume Apollinaire, Simone de Beauvoir, Jean-Paul Sartre o Jacques Prévert erano soliti ritrovarsi nei caffè che diventavano i loro uffici, redazioni, vere e proprie seconde case. Ai loro tavolini ricevevano amici, scrivevano romanzi, fondavano movimenti, ricreavano il mondo.

Jean-Paul Sartre e Simone de Beauvoir erano soliti sedersi ai tavolini del Café de Flore di Parigi fin dalle nove del mattino; vi rimanevano fino alle otto di sera, a chiacchierare, incontrare amici e scrivere. Anche il romanziere e saggista americano James Baldwin, che visse a lungo a Parigi, amava il Café Flore.

La Rotonde, a Montparnasse, era frequentato da artisti come Picasso e Modigliani; Le Dome, sempre a Montparnasse, frequentato da Picasso e Modigliani, oltre a Ezra Pound, Robert Capa, Ernest Hemingway, Henry Miller, Khalil Gibran, Paul Gaugain, Jean Paule Sartre.

Venendo a casa nostra, proprio a Milano, nel giugno del 1764 Pietro Verri fonda la rivista Il Caffè: il nome della testata è scelto per via del rilevante fenomeno della diffusione delle caffetterie come luoghi dove si parla di cultura.
E infatti non mancano i più noti caffè italiani: il Gambrinus a Napoli, caffè prediletto di Gabriele D’Annunzio, che accolse Jean Paul Sartre, Ernest Hemingway, Oscar Wilde, Benedetto Croce, Totò; il Grancaffè Quadri a Venezia, salotto di intellettuali, frequentato da Stendhal, Lord Byron, Alexandre Dumas, Richard Wagner, Marcel Proust; e naturalmente, sempre a Venezia, il Caffè Florian, a cui si rivolgevano Carlo Goldoni, Ugo Foscolo, Giacomo Casanova, Lord Byron, Silvio Pellico, Charles Dickens, Gabriele D’Annunzio, Goethe, Jean-Jacque Rousseau, Modigliani, Proust.
E poi l’l’Antico Caffè Greco a Roma, il Caffè Fiorio a Torino, il Caffè Pedrocchi a Padova, il Caffè Pirona, a Trieste, frequentato da James Joyce (che qui iniziò a scrivere il suo Ulisse), Italo Svevo e Umberto Saba, il Caffè Biffi a Milano, il Caffè Giubbe Rosse a Firenze che divenne il centro del movimento Futurista, ospitando tra gli altri Marinetti, Boccioni e Carrà.
In tempi più recenti, nei caffè letterari ad esempio nel dopoguerra della ricostruzione, gli intellettuali amavano riunirsi in questi salotti all’aperto e laboratori di idee, progetti, umanità, divertimento.
In Spagna le tertulias – circoli letterari informali – si riuniscono in locali come il Café Gijón di Madrid. E come dimenticare La bodeguita del medio, nel cuore dell’Havana, Cuba? Era il bar preferito da Hemingway, divenuto meta fortunata di scrittori, artisti e gente qualunque, da Gabriel Garcia Marquez a Pablo Neruda. Al The Elephant House a Edimburgo J.K. Rowling ha iniziato a scrivere la saga di Harry Potter. Il Vesuvio Cafè a San Francisco fu il preferito di Jack Kerouac, Dylan Thompson e Allen Ginsberg.

Ma lasciatemi essere un po’ nostalgica: come non parlare del famoso Antico Caffè Di Simo, uno dei luoghi pucciniani per eccellenza, luogo di incontri fra letterati, intellettuali e musicisti, situato nel centro storico di Lucca, vicino a Piazza dell’Anfiteatro, al numero 58 di via Fillungo, e purtroppo chiuso ormai da tempo.
E voi che rapporto avete con i caffè? Vi piace sedervi a osservare, a leggere, a chiacchierare e scrivere?
Se cercate ispirazione fate un salto a questo link
Se cercate un libro che li racconti, eccolo, edito da Il Mulino:

Sinossi: Una socialità tutta italiana. Sorti sulle tracce delle coffeehouses inglesi, i Caffè italiani hanno rappresentato un’autentica rivoluzione sociale. A differenza dei salotti aristocratico-elitari, vi si poteva infatti accedere senza essere invitati, disponendo di libertà di parola e senza distinzione di genere. Spazi incubatori della nuova società borghese e della nascente nazione, luoghi di germinazione per avanguardie artistiche e cenacoli letterari, tra i loro tavoli sono maturati anche i più importanti movimenti politici che segneranno la storia d’Italia. L’itinerario considera quei Caffè storici che sono rimasti ancora tali, negli indirizzi e negli arredi: tra questi, il più antico, il veneziano Florian, il padovano Pedrocchi, il torinese Al Bicerin, il triestino Tommaseo, il fiorentino Gilli, il romano Antico Caffè Greco, il napoletano Gambrinus.



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É vero. Nel mio piccolo… anch’io.
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Come tanti!!
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Io su questa cosa ho una osservazione.
Io amo i caffè in generale, se storici meglio, ma soprattutto amo i tavolini fuori con magari gazebo. Quindi non mi piace la guerra spietata che stà facendo il comune di Roma contro i tavolini. Roma è più bella e più sociale … esattamente come Parigi. Il nostro provincialismo purtroppo renderà la città più triste senza i tavolini sui marciapiedi… peccato! Elisa
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Anche per me sedersi fuori ai tavolini del bar è bellissimo. Ci passerei le ore…
Non sapevo che a Roma ci fosse questa polemica…
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ma quindi secondo te il caffe in sti posti costa 20 euro? sennò posso anche farci un salto a roma xD
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quelli famosi e antichi proprio a buon mercato non saranno… ma ci sono anche (almeno a Milano ne ho visti diversi, a Roma non so) più normali, dove le consumazioni sono a prezzo di mercato
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Sono stato a Parigi la settimana scorsa, dormivo a Montparnasse e quelli che hai citato li ho visti tutti :-). Hai dimenticato però il più famoso (anche se hai messo una foto): il Deux Magots!
Non so dire se è “letterario” (ma anche su molti che si fregiano di questo titolo ho dubbi), ma tra i bar storici italiani mi piace particolarmente il Caffè Meletti di Ascoli, città tutta da scoprire a sua volta!
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Che bello che sei andato!!!
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Nel post, vicino la foto del Deux Magots, c’è un paragrafo 😊
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Ascoli è proprio carina 🤩
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Post davvero stupendo. Volevo chiederti se ci sono dei saggi dedicati ai Cafè letterari?
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Ciao, grazie!
Ho trovato questo: “Caffè letterari a Firenze” di Teresa Spignoli,
C’è anche “Caffè letterari” edito da Canesi ma è libro degli anni 60, credo si trovi solo sui siti dell’usato.
Altro non saprei….
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Quando ero in università stavo in collegio e in breve il mio posto preferito per studiare divenne la cucina. Lí tra un caffè e l’altro, fatto non si sapeva mai bene da chi, ma immancabile, quasi sempre caldo, col sottofondo perenne del sobbollire dell’acqua e della polvere di caffè, si consumavano scene epiche: letterati che si lambiccavano su qualche perverso pensiero di qualcuno del passato (scrittore, politico, filosofo), fisici che si univano alla disputa e magari poco dopo cercavano di spiegare loro agli analfabeti dei numeri qualcosa delle meraviglie del mondo che avevano scoperto a lezione, giurisperiti venivano a recuperare il loro decimo caffè lasciandosi dietro una scia di post-it e dispensando consigli mentre quelli di scienze politiche tiravano fuori da non si sa bene dove una bottiglia di qualcosa un po’ più forte del caffè ma con il caffè sarebbe stato bene. E si imparava e si studiava, in questo marasma e via vai, ci si confrontava. Devo ammettere che il clima di condivisione colta che ci univa in quel momento me lo porto nel cuore e purtroppo raramente ho trovato luoghi produttivi come quella cucina. Forse per questo ancora adesso mi siedo ai tavoli di qualche bar…aspettando che la sensazione nostalgica ritorni…ma non torna. Non era solo il caffè, erano le persone. Però se ancora oggi mi si chiede che profumo ha l’ispirazione…per me è quello del caffè.
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Grazie di avere condiviso questo bellissimo spaccato del tuo vissuto. Mi hai riportato anche ai miei anni di università, io ero in appartamento con altre due ragazze e il clima era esattamente quello. 🫶🫶🫶
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