Marzo ha portato tanta pioggia che, per carità, ci voleva, ma dopo giorni e giorni in cui piove ininterrottamente da mane a sera… beh, un raggetto di sole lo si vedrebbe volentieri. Comunque, se c’è una cosa che la pioggia non può minimamente rovinare, è sedersi sul divano a leggere.
Questo mese ho letto alcuni romanzi, e uno in particolare mi è così tanto piaciuto e mi ha così tanto sorpresa, che gli ho riservato una settimana intera di lettura lenta, vale a dire che me lo sono proprio goduto con calma. Lo meritava, credo che sia uno dei migliori romanzi letti negli ultimi anni.
Queste le mie letture di marzo:

Elizabeth Strout, Mi chiamo Lucy Barton

Sara Mesa, La famiglia

Giovanni Bitetto, Sacro niente

Sacha Naspini, Le case del malcontento

Il libro del mese è:

Le case del malcontento è un romanzo davvero notevole, geniale, di quelli che ti catturano perché sanno mettere a nudo tutto il campionario di vizi (tanti) e virtù (poche) umane, di quel malcontento che è uggia di vivere laddove si è attaccati al niente, ad una povertà che non è solo materiale ma di sentimenti.

Il teatro in cui tutto si svolge è un borgo sperduto di Maremma, abbarbicato su uno sperone di roccia, un gigante preistorico che manda spesso tremori, che fa dondolare i lampadari e mina la terra sotto i piedi ai suoi abitanti. Un borgo millenario fatto di stradine lastricate e case attaccate alla roccia, che affiora nelle cantine e che custodisce segreti inconfessabili.

Un romanzo mondo, che dalla Maremma fa virare lo sguardo a tutto un territorio più generico, un microcosmo che potrebbe essere localizzato in mille altri angoli d’Italia e non solo.

È questo un romanzo costruito attraverso l’alternarsi degli autoritratti attraverso cui i cittadini di Le Case si raccontano, dando vita ad una struttura narrativa corale, brulicante di storie che si intrecciano, di fili che si stringono immobilizzando le vite di chi da quel pantano di ripicche, vendette, dispetti e cattiverie non riesce a liberarsi, di chi dell’invidia si nutre, delle passioni che prima ti fanno volare in alto, e poi ti fanno precipitare fino all’inferno. Un racconto che si tinge più di nero che di rosa, un colore che solo a sprazzi si accende nel grigiore, ma che quasi sempre viene soffocato dalle più tetre tinte.
Vite assediate da speranze e illusioni che immancabilmente prendono la china del disincanto, dell’amaro in bocca, fino a spingersi nella tragedia. Traiettorie esistenziali che si muovono su un’orbita ellittica, che sembra portare via dal borgo, ma che poi sempre lì ti riconduce, in quel pantano di umori incattiviti, di speranze perse, di sofferenza materiale ed esistenziale.

Sacha Naspini ha una cifra stilistica ben riconoscibile, unica, uno stile asciutto che mostra con pienezza senza fronzoli ciò che offre al lettore, capace di creare sulla carta una mappa immaginifica; uno stile che sapientemente costruisce il racconto amalgamando l’italiano colto con un italiano intarsiato di termini contadini toscani, duri e diretti, espressivi, che sanno rendere al meglio il quotidiano vivere e l’ambientazione, le atmosfere e le personalità.
Uno stile fortemente connotato dalla vena teatrale dell’autore. Tra l’altro, proprio in questi giorni sta andando in scena l’allestimento teatrale di questa opera poliedrica, sceneggiata e adattata dallo stesso autore.

E voi che mi dite, qual è il più bel libro che avete letto a marzo?