Eccoci ad un altro appuntamento con le parole del nostro vocabolario che sempre meno vedo o sento utilizzate. Potrebbe essere una mia impressione; aspetto di sentire cosa ne pensate. Ecco quelle di oggi:

Verecondia, /ve·re·cón·dia/: dal latino: verecundia, da vereri aver riguardo, provare riverenza; -cundus è un suffisso proprio degli aggettivi verbali.
Con questo termine si intende un atteggiamento riservato e timoroso, riconducibile a un naturale senso di pudore; si tratta della disposizione d’animo di chi rifugge da ogni cosa che possa, anche lontanamente, offendere il pudore, o ciò che è considerato moralmente sconveniente, dunque un comportamento caratterizzato da riservatezza e modestia. In passato veniva anche usata per indicare il timore di fare cosa che possa venire rimproverata.

La vercondia è un concetto spesso confuso con la vergogna, ma in realtà si tratta di due sentimenti distinti. La vercondia è un atteggiamento di riservatezza discreta e gentile, che nasce da un profondo senso di rispetto per sé stessi e per gli altri. Non è associata a sentimenti di inadeguatezza o imbarazzo, come invece accade con la vergogna. La persona vereconda è consapevole del proprio valore e della propria dignità, e per questo motivo sceglie di comportarsi in modo misurato e rispettoso, evitando ostentazioni o eccessi. Si tratta di un atteggiamento nobile e ammirevole, che riflette una profonda maturità interiore.

Si distingue quindi da vergogna, che, a sua volta, ha un significato più profondo e complesso rispetto al semplice imbarazzo. Oggi, la sua accezione comune rimanda ad un senso di turbamento più intenso, che colpisce l’individuo nella sua totalità e lo mette in discussione di fronte ai propri valori, modelli e ideali. Non si tratta più di un semplice disagio sociale, facilmente superabile o stemperato con un sorriso. La vergogna odierna affonda le sue radici nell’identità stessa della persona, intaccandone il senso di autostima e la percezione di sé.

Querulo, /què·ru·lo/: agg. [dal lat. querŭlus, der. di queri «lamentarsi»], letter. – Lamentoso, detto di persona che si lagna (soprattutto se con frequenza o abitualmente), dolendosi di torti ricevuti, dell’avversità della sorte, eccetera. Più spesso, riferito alla voce stessa, o anche a suono che sembri un lamento. È un termine un po’ più ricercato di lamentoso.

La lagna non è necessariamente priva di fondamento. Può esserci una reale ragione per lamentarsi, un’ingiustizia da denunciare o un problema da risolvere. Tuttavia, la lagna del querulo si distingue per la sua modalità di espressione. Chi è querulo tende a esagerare, a ripetere ossessivamente le sue lamentele, a concentrarsi sugli aspetti negativi di ogni situazione, a drammatizzare ogni problema. Il suo tono è spesso penoso e irritante, e la sua insistenza può risultare fastidiosa e inopportuna.

Dunque, che mi dite, li usate? Li incontrate nelle vostre letture?