Almarina, di Valeria Parrella, Einaudi 2019, pp. 136

I ricordi restano sempre dove li abbiamo lasciati: noi ci alziamo, andiamo, richiamati a tavola dalle madri, e i ricordi restano sugli scalini.

Nel carcere minorile di Nisida, crocevia di destini segnati dalla marginalità e dalla violenza, si incrociano le vite di Elisabetta, un’insegnante cinquantenne, e Almarina, una giovane romena vittima di violenze. I loro sguardi si incrociano in un’aula di tribunale, come due frammenti di uno stesso puzzle che si incastrano alla perfezione.

Elisabetta, con i suoi occhi stanchi e il sorriso appena accennato, intravede in Almarina la propria fragilità, le stesse paure e le stesse speranze di un tempo. Almarina, a sua volta, riconosce in Elisabetta una guida. Entrambe portano sulle spalle il peso di un passato doloroso: Elisabetta, l’ombra incancellabile della perdita del marito; Almarina, le cicatrici indelebili di una vita segnata dalla violenza e dalla separazione. Il loro incontro, in un contesto sociale che le opprime, diventa un’occasione per ribellarsi e rivendicare il diritto a una vita dignitosa.

Attraverso la storia di Elisabetta e Almarina, l’autrice ci offre una denuncia appassionata delle disuguaglianze sociali e delle violenze subite dalle donne. Il loro incontro diventa un simbolo di resistenza e di ribellione, un invito a costruire un mondo più giusto e equo.

Entriamo allora nella trama. Elisabetta, un’insegnante di matematica di mezza età, lavora da anni nel carcere minorile di Nisida, a Napoli. Questo luogo, dove il tempo sembra fermarsi, è diventato per lei una sorta di rifugio e di ossessione. Ogni anno, nuovi ragazzi entrano a far parte della sua vita, portando con sé storie di sofferenza e di speranza, sulle quali spera di incidere con il suo contributo di umanità e calore.

Tra questi, Almarina, una diciassettenne romena, si distingue per la sua fragilità e la sua determinazione. Arrivata in Italia in circostanze tragiche, è stata costretta a una vita di strada. L’incontro con Elisabetta rappresenta una svolta inaspettata: tra le due donne nasce un legame intenso, basato sulla comprensione reciproca e sulla condivisione di un dolore profondo.

Elisabetta, segnata dalla perdita del marito Antonio, trova in Almarina una nuova ragione di vivere. La giovane, a sua volta, vede nell’insegnante una figura materna e protettiva. Il loro rapporto, inizialmente clandestino e osteggiato dall’ambiente carcerario, si sviluppa in un legame di affetto profondo e sincero, un rapporto di fiducia e di confidenza.

Il romanzo esplora le dinamiche di questo legame, le difficoltà che le due donne devono affrontare e le conseguenze che le loro scelte avranno sulle loro vite. Attraverso i loro occhi, il lettore viene introdotto in un mondo fatto di solitudine, violenza e, al tempo stesso, di speranza e di redenzione.
La speranza, in questo romanzo, è più che un semplice sentimento; è la linfa vitale che anima le azioni delle protagoniste. È il motore che le spinge a lottare contro le avversità, a sfidare le convenzioni e a immaginare un futuro diverso. La loro speranza si manifesta come un atto di resistenza, un rifiuto di sottomettersi al destino e un’affermazione della propria dignità.
Ma la speranza di Elisabetta e Almarina non è solo un faro individuale; è un contagio che si diffonde nell’ambiente circostante, ispirando gli altri detenuti e creando una rete di solidarietà. La loro capacità di sognare un futuro migliore diventa un esempio per tutti coloro che si trovano in situazioni difficili, dimostrando che anche nei momenti più bui, la speranza può essere una potente forza di trasformazione.

Mentre Almarina, lentamente, si apre a confidare gli orrori subiti, Elisabetta intraprende un percorso di introspezione, affrontando il lutto e le frustrazioni legate alla sua vita. Entrambe, però, sono prigioniere di sguardi giudicanti: Almarina, etichettata come detenuta, e Elisabetta, costretta in un ruolo sociale predefinito. L’isola-carcere diventa il simbolo di questa prigionia, dove ogni movimento è sorvegliato e ogni domanda è soffocata dal potere. La fuga, per loro come per ogni detenuto, rappresenta la possibilità di liberarsi dalle catene invisibili del giudizio, di respirare aria pura e di riappropriarsi della propria umanità.

Dal punto di vista stilistico, il romanzo adotta una struttura circolare, con la conclusione che funge da incipit di un lungo flashback narrato in prima persona da Elisabetta. Questa scelta narrativa, oltre a creare un’atmosfera intima e coinvolgente, permette all’autrice di mantenere viva la curiosità del lettore fino all’ultima pagina. Il punto di vista soggettivo della protagonista, con i suoi ricordi frammentati e le sue riflessioni intime, ci immerge profondamente nella sua interiorità.

Consiglio la lettura di questo romanzo a chi si è appassionato alla serie tv Mare Fuori, in cui all’interno di un istituto penale minorile napoletano, ispirato al carcere di Nisida, si intrecciano le vicende di giovani detenuti e del personale penitenziario, in un microcosmo che riflette le complessità della società.

Roma, 09 06 2020, ©Musacchio, Ianniello & Pasqualini

Valeria Parrella è nata nel 1974, vive a Napoli. Per minimum fax ha pubblicato le raccolte di racconti mosca piú balena (2003) e Per grazia ricevuta (2005). Per Einaudi ha pubblicato i romanzi Lo spazio bianco (2008, 2010 e 2018), da cui Francesca Comencini ha tratto l’omonimo film, Lettera di dimissioni (2011), Tempo di imparare (2014), la raccolta di racconti Troppa importanza all’amore (2015), Enciclopedia della donna. Aggiornamento (2017) e Almarina (2019). Per Rizzoli ha pubblicato Ma quale amore (2010), ripubblicato da Einaudi nei Super ET nel 2014. È autrice dei testi teatrali Il verdetto (Bompiani 2007), Tre terzi (Einaudi 2009, insieme a Diego De Silva e Antonio Pascale), Ciao maschio (Bompiani 2009) e Antigone (Einaudi 2012). Per Ricordi, in apertura della stagione sinfonica al Teatro San Carlo, ha firmato nel 2011 il libretto Terra su musica di Luca Francesconi. Ha inoltre curato la riedizione italiana de Il Fiume di Rumer Godden (Bompiani 2012). Da anni si occupa della rubrica dei libri di «Grazia» e collabora con «Repubblica».