I termini che esaminiamo oggi, seppur appartenenti a sfere semantiche apparentemente distanti, condividono un nucleo concettuale profondo: quello dell’impoverimento. “Depauperare” evoca l’esaurimento delle risorse naturali, un’azione distruttiva che impoverisce l’ambiente; “epigono” descrive invece l’impoverimento intellettuale e creativo, la ripetizione sterile di idee altrui. Il primo termine ci ricorda l’urgenza di affrontare la crisi ambientale, un’emergenza che sta letteralmente “depauperando” il nostro pianeta. Il secondo, invece, ci invita a riflettere sulla diffusione di un pensiero omologato e privo di originalità, un fenomeno che caratterizza molti aspetti della nostra società contemporanea. Entrambe le parole, pur appartenendo a un lessico più ricercato, trovano oggi un’ampia applicazione per interpretare e criticare aspetti problematici della nostra società.

Depauperare, /de·pau·pe·rà·re/: v. tr. [der. del lat. pauper «povero»; cfr. lat. pauperare «impoverire»] (io depàupero, ecc.). – Rendere povero, impoverire, con sottrazione o dispersione delle capacità produttive o della sostanza costitutiva.
Depauperare è un termine formale e distaccato, tipico di un registro alto e ha una sua specificità; infatti, non è del tutto interscambiabile con impoverire, che è più colloquiale e connotato emotivamente da sentimenti di compassione e preoccupazione, mentre depauperare ha un tono più oggettivo e descrittivo.
Depauperare è frequente in ambiti storici, scientifici e tecnici, dove si richiede una descrizione precisa e oggettiva di un fenomeno; si utilizza per processi oggettivi e misurabili, come l’erosione del suolo o il declino economico. Ha una precisa ampiezza semantica, riferendosi non solo alla perdita di ricchezza materiale, ma anche alla diminuzione di qualità, valore o potenziale.

Epigono, /e·pì·go·no/: s. m. [dal gr. ἐπίγονος, propr. «nato dopo», comp. di ἐπί «sopra, dopo» e tema di γίγνομαι «diventare, nascere»]. Discepolo o successore, seguace, imitatore, di solito inferiore e decadente, senza personalità né capacità creativa. Viene usato specialmente al plurale per indicare gli scrittori e gli artisti che ripetono in maniera superficiale, e senza elaborazione autonoma, le idee o i modi di un predecessore importante. L’epigono non si limita a prendere ispirazione dai suoi predecessori, ma ne riproduce pedissequamente lo stile e le idee, spesso senza un’autentica comprensione profonda.
Nome dato dapprima, nella mitologia greca (I sette contro Tebe, di Eschilo), ai figli dei 7 principi che combatterono contro Tebe (per vendicare i padri, rinnovarono la guerra 10 anni dopo, sotto la guida di Alcmeone, figlio di Anfiarao), e quindi esteso a indicare i figli dei diadochi.

Anche nella nostra società contemporanea, il fenomeno dell’epigonismo è molto presente. Pensiamo al mondo della musica, del cinema, della letteratura, dove spesso assistiamo a riproposizioni di formule di successo già sperimentate, senza un’autentica ricerca di nuove forme espressive.

Che mi dite di questi due termini? Li usate, vi capita di sentirli o leggerli?