Olga muore sognando, di Xochitl Gonzalez, Fazi editore 2024, traduzione di Giuseppina Oneto, pp. 432
Se c’è una cosa che Olga può affermare con certezza, è di aver fatto tutto da sé. Nata a Brooklyn in una rumorosa famiglia portoricana e presto abbandonata dalla madre che ha preferito darsi all’estremismo politico, si è conquistata un posto in un college esclusivo e oggi, a quarant’anni, è l’elegante wedding planner dei broker di Manhattan.
La sua vita pubblica è scintillante, ma a porte chiuse la situazione è molto meno rosea.
Olga può orchestrare le storie d’amore dell’élite, ma fatica a trovare la propria; sa trasformare i capricci dei suoi clienti in necessità imprescindibili, ma quando si tratta dei suoi bisogni non azzecca una mossa. Come se non bastasse, insieme alla stagione degli uragani, la madre Blanca si riaffaccia prepotentemente nella sua vita dopo decenni di silenzio. L’unica ancora di salvezza sembra essere l’adorato fratello Prieto: cresciuto come lei dalla nonna, è diventato un popolare membro del Congresso; anche lui, però, sta per essere travolto da una tempesta. Senza più punti di riferimento, alle prese con le sue ambizioni sociali, l’ombra della madre assente, le ingombranti radici portoricane e l’eterno bisogno di essere amata, Olga sarà costretta a fare i conti con i traumi dell’infanzia e a capire, una volta per tutte, chi è davvero.
Divertente, intelligente, fresco, Olga muore sognando è il romanzo d’esordio di Xochitl Gonzalez: premiato in patria da ottime vendite e recensioni entusiastiche, è una perfetta fotografia del mondo occidentale contemporaneo con tutti i suoi paradossi.
Nata negli Stati Uniti da una famiglia di origini messicane, si è orgogliosamente diplomata alla scuola pubblica, ha conseguito una laurea in Storia dell’arte e Arte visuale alla Brown University e ha ottenuto un MFA presso il prestigioso Iowa Writers’ Workshop. Olga muore sognando è il suo romanzo d’esordio. Prima di dedicarsi alla scrittura, ha svolto diversi lavori: interprete, wedding planner, fundraiser, lettrice di tarocchi. Scrive anche per «The Atlantic», e grazie alla sua rubrica è stata finalista al premio Pulitzer. Vive a Brooklyn con il suo cane, Hectah Lavoe.
Ecco l’Incipit del romanzo:
L’accumulatore seriale
Il Noir era il posto che ci voleva per dare sfogo alla tristezza, pensò Olga mentre si avvicinava al bancone e ordinava il solito. Pieno di clienti abituali che non sembrava avessero né una casa né qualcuno a cui stava a cuore che ci tornassero, non possedeva il senso di possibilità che trasmettevano locali aperti più di recente in quell’angolo di Brooklyn, dove il mercato immobiliare era ormai alle stelle. Non c’erano il parquet di recupero né le lampade industriali rivisitate in modo geniale. Il Noir somigliava più a un garage ben coibentato, illuminato da lampade spaiate e pieno di vecchi sgabelli da cucina senza un minimo guizzo d’allegria. L’aria condizionata era bassa, perciò in giornate calde come quella non si sudava ma neppure ci si rinfrescava. L’attrazione maggiore, almeno per Olga, era il juke-box con i suoi vecchi dischi funk e R&B degli
anni Settanta, Ottanta e Novanta. Mise qualche canzone che secondo lei sarebbe piaciuta a Jan e Keep Him Like He Is di Syreeta riempì il piccolo bar. Tornata al suo posto, sentì una presenza che incombeva alle sue spalle.
«Desidera qualcosa?», si girò a chiedere.
Davanti si ritrovò un tizio sconosciuto, piuttosto scuro di pelle. Uno sfigato che non aveva mai visto ed era anche sfuggito alla sua attenzione perché si amalgamava bene con le altre facce cupe.
«Ecco, salve… Insomma, mi ero appena liberato da una riunione, sono entrato qui e tu sei andata a mettere una delle mie canzoni preferite. Sapevi che la cantante era sposata con Stevie Wonder?».
«Lo sanno tutti».
«Ah sì?». Il tizio batté sulla spalla di una tale di nome Janette. Janette, che in pratica al Noir ci viveva soprattutto nei mesi estivi, quando era in ferie dal suo lavoro di dirigente scolastica. «Mi scusi, signora, sa chi canta questa canzone?».
«Sì, Syreeta Wright, una delle ex mogli di Stevie Wonder».
Olga non sapeva che fare. Da una parte era contenta che quel tronfio intenditore ignoto fosse stato messo KO in modo tanto spiccio. Dall’altra sapeva che se qualcuno rivolgeva a Janette una parola che andasse oltre il saluto, rischiava di doversi sorbire la sua arte oratoria applicata ai problemi del Ministero dell’Istruzione per le prossime quattro ore. Una filippica che, al di là delle variazioni sui dettagli e sulle singole lamentele, finiva sempre con il proclama: «La stronzata è che abbiamo barattato una democrazia corrotta con un’autocrazia inetta», e lei compiaciuta per cotanta rima interna.
In copertina illustrazione di Lauren Peters-Collaer silhouette © juli-julia / Getty Images; city © CSA Archive / Getty Images; flowers © CSA Images / Getty Image

