Finalmente ad aprile mi sono liberata di una serie di “zavorre”, mentali e reali, e sono riuscita a completare quasi tutto il programma di letture che mi ero prefissata. Il “quasi” è ciò che mi rende felice, perché da un lato mi dà la soddisfazione di essermi avvicinata ad un obiettivo che mi ero prefissa; e dall’altra mi punge con lo stimolo di un traguardo ancora da raggiungere. Il problema fondamentale è che la mia curiosità mi spinge ad essere ingorda: ho una wish-list in eterno accrescimento, i libri che mi attirano sono sempre tanti … ma mi piace anche girare per i blog, leggere quello che scrivono gli altri … insomma, le ventiquattro ore sono sempre troppo poche….
Veniamo alle letture di questo mese, che avete potuto seguire nelle varie recensioni; grazie a loro ho potuto spaziare dal romanzo al saggio storico, al reportage, e soprattutto ho potuto viaggiare con la mente verso il Sud e il Nord America, l’Iran, la Bosnia Erzegovina e naturalmente l’Italia:
Louise Soraya Black, Il cielo color melograno
Rodrigo Hasbún, Gli anni invisibili
Aniela Rodríguez, Il problema dei tre corpi
Steph Cha, La tua casa pagherà
Darko Cvijetić, L’ascensore di Prijedor
Beppe Fenoglio, Primavera di bellezza
Jennifer Egan, Il tempo è un bastardo
Susy Galluzzo, Quello che non sai
Miljenko Jergović, L’attentato
Tante belle letture, alcune che indagano l’attualità, altre volgono lo sguardo alla storia per capire il presente, altre sono romanzi carichi di emozioni. La scelta è sempre difficile, ma ho deciso di scegliere il libro che ci offre uno sguardo approfondito sulla società statunitense, andando ad indagare una realtà di cui poco si parla ma che svela molte delle magagne delle società contemporanee, e non solo di quella specifica.
Nomadland. Un racconto d’inchiesta, di Jessica Bruder, Edizioni Clichy 2020, traduzione di Giada Diano, pagg. 383
Nomadland è un “racconto d’inchiesta”, il lavoro accurato e accorato di una giornalista sugli americani in età matura, a basso reddito che si guadagnano da vivere guidando da un posto all’altro per un lavoro stagionale. Ma è anche una specie di romanzo itinerante, dove i protagonisti sono persone vere, a cui si finisce inevitabilmente per affezionarsi.
Dall’inizio della sua immersione in una sottocultura per lo più invisibile, l’autrice chiarisce che i nomadi, molti dei quali anziani, rifiutano di considerarsi “senzatetto”. Piuttosto, si riferiscono a se stessi come “senza casa”, in quanto non sono più gravati da pagamenti ipotecari, riparazioni e altri inconvenienti, e discutono di “proprietà su ruote” invece di proprietà immobiliari. La maggior parte di loro non ha perso la casa volontariamente, essendo stata vittima di frode ipotecaria, perdita del lavoro, debito sanitario, divorzio, alcolismo o una combinazione di questi e altri fattori. Di conseguenza, dormono nelle loro auto o van o in camper acquistati a buon mercato e cercano di trarre il meglio dalla situazione.
Bruder ha viaggiato con alcuni dei senza una casa fissa – cosiddetti workampers – per anni mentre faceva ricerche e scriveva il suo libro. La giornalista costruisce la narrazione attorno a una nomade particolarmente intraprendente, l’anziana Linda May, che è vivacemente resa grazie ai profondi rapporti dell’autrice. Quando incontriamo May, sta lavorando come host di un campeggio, controllando i campeggiatori, spalando i resti di cenere dei falò e pulendo i bagni.
Linda May e i suoi compagni di viaggio, dopo anni in cui hanno svolto svariati lavori, alcuni dei quali anche complessi, tendono a trovare lavori fisicamente impegnativi e a basso salario nei magazzini di Amazon, che cercano aggressivamente lavoratori stagionali attraverso il programma di reclutamento chiamato “CamperForce program”, o nei campeggi, o nei siti di raccolta delle barbabietole da zucchero o fragole e simili. Da una costa all’altra, fin negli stati più interni, si incontra questa forza lavoro.
Bruder racconta una storia avvincente e illuminante del ventre oscuro dell’economia americana, che prefigura il futuro precario che potrebbe attendere molti di noi. Allo stesso tempo, celebra l’eccezionale capacità di recupero e creatività di questi americani per eccellenza che hanno rinunciato al normale radicamento per sopravvivere.
Bello, io questo libro l’ho letto l’anno scorso, lo vidi in libreria e mi colpì molto la copertina: poi so che Clichy fa delle buone cose, capii che il tema mi avrebbe interessata e lo comprai. Ieri ho visto il film, e mi è piaciuto moltissimo anche quello. C’è tutto un mondo, tante storie tristi e allegre, tanto coraggio in queste vite nomadi
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Anche io come Marisa l’ho letto l’anno scorso e ieri ho visto il film! Ho amato entrambi, devo dire che, ovviamente, l’approfondimento del libro è un’altra cosa, però mi è sembrato che si aggiungessero di valore aggiunto vicendevolmente!
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Non vedo l’ora di vederlo!!!
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