Johnny fu assegnato alla prima compagnia, quella [era] la camerata. Ci penetrò fra pozze e rivoli d’acqua di sgelo: niente di meglio di un capannone autarchico, miserabile nella parte già occupata, decisamente sinistro in quella ancora disabitata. Sui castelli larve di uomini si ersero sui gomiti e sghignazzarono estenuatamente ai nuovi arrivati. Un sergente urlò che il silenzio era suonato da quatto ore circa.

Nella Roma della torrida estate del 1943, Johnny e i suoi commilitoni assistono agli ultimi giorni del regime mussoliniano, che nonostante i mugugni della popolazione, esasperata per la scarsità di cibo e per il bombardamento della città avvenuto il diciannove luglio, non cessa di mettere in scena i suoi rituali autocelebrativi.

L’avvento dell’8 settembre 1943 come data ed episodio fondamentale per molte generazioni di italiani; il momento della scelta di vita da parte di un giovane, necessariamente portato alla ribellione: nella vicenda di Johnny, lo stesso protagonista dell’altro romanzo, Il partigiano Johnny, c’è tutta la realtà fascista in sfacelo; la sua “formazione” lo conduce non a una maturità felice ma al nulla di un mondo privo di senso. Primavera di bellezza (1959) è il terzo e ultimo libro pubblicato in vita da Beppe Fenoglio. “Il romanzo venne concepito e steso in lingua inglese. Il testo quale lo conoscono i lettori – dichiarò Fenoglio provocatoriamente – è quindi una mera traduzione“.

Da una Roma spettrale e allucinata, dove un esercito senza ordini e senza capi collassa e diviene preda dei soldati tedeschi presenti ancora in numero esiguo, inizia lo sbando verso casa di Johnny, dopo aver pagato a caro prezzo un vecchio e sdrucito abito borghese fuori misura, vestendosene vergognosamente e rimanendo “con un groppo in gola, di insolubile furore e di molle pietà per se stesso“.

L’ultima parte del romanzo vede Johnny, miracolosamente giunto nei pressi di casa, unirsi a una banda di soldati che non hanno aderito alla Repubblica Sociale. Qui vi è finalmente il riscatto morale – non solo del protagonista ma di buona parte dell’Italia – attraverso la scelta, di altissimo valore etico poiché libera e individuale, della lotta partigiana. Abbandonati i toni sarcastici e il senso di desolazione che emerge dai capitoli precedenti, le pagine che narrano la Resistenza sono asciutte e drammatiche, cariche di positiva tensione civile, senza tuttavia derive retoriche, celebrative o assolutorie: i Partigiani sono descritti per ciò che essi sono e furono, persone normali con normali difetti ma con il pregio di aver fatto una scelta coraggiosa dall’esito tutt’altro che scontato.

Farsi ammazzare per chi? Per il re, o per il principe o per Badoglio? Dovunque stiano, meglio di noi poveri cristiani stanno. E poi nemmeno l’ordine hanno saputo darci. Di ordini ne è arrivato un fottio, ma uno diverso dall’altro, o contrario. Resistere ai tedeschi – non sparate sui tedeschi – non lasciarsi disarmare dai tedeschi – uccidete i tedeschi – autodisarmarsi – non cedere le armi.