Il problema della sicurezza sul luogo di lavoro rimane da sempre una delle emergenze più gravi e, allo stesso tempo, meno affrontate nel nostro paese. Ogni giorno accadono tragedie strazianti di vite perse, vite di persone che svolgevano il loro lavoro evidentemente senza la garanzia di adeguata protezione. Non sono fatalità, la fatalità è quando un evento ha caratteristiche di eccezionalità; quando ogni giorno qualcuno perde la vita lavorando si tratta di negligenze, di non rispetto delle norme per la sicurezza.
Tutti ci indigniamo quando la cronaca ci sbatte in faccia queste tragedie; sui media ci imbattiamo in frasi di circostanza, in dichiarazioni di propaganda politica, che lasciano il tempo che trovano. C’è un’assenza colpevole da parte di chi invece dovrebbe mettere in campo azioni concrete per affrontare questa emergenza.
Non lasciamo scivolare via dalle nostre coscienze i nomi di donne e uomini vittime di questa strage silenziosa.
Da oggi, vi proporrò i romanzi che affrontano all’interno della trama queste situazioni. Vi ricordo che nella sezione “Tema lavoro” del menù principale potete trovare molti titoli sull’argomento. Questo il libro di oggi:
La fabbrica del panico, di Stefano Valenti, Giangiacomo Feltrinelli Editore, 2013, pagg. 119
Vincitore del Premio Campiello – Opera Prima 2014.
Una valle severa, racchiusa dalle sterili e povere montagne della Valtellina. In mezzo, il lento andare del fiume. Un uomo tira pietre piatte sull’acqua. Il figlio lo trova assorto, febbricitante, dentro quel paesaggio; è lì che ha cominciato a dipingere, per fare di ogni tela un possibile riscatto, e lì è ritornato ora che il male lo consuma. Ma il male è cominciato molto tempo prima, negli anni settanta, quando il padre-pittore ha abbandonato la sua valle ed è sceso in pianura verso una città estranea, dentro una stanza-cubicolo per dormire, dentro un reparto annebbiato dall’amianto, operaio delle acciaierie Breda di Sesto San Giovanni (la ex Stalingrado d’Italia). Fuori dai cancelli della fabbrica si lotta per i turni, per il salario, per ritmi più umani, ma nessuno è ancora veramente consapevole di come il corpo dell’operaio sia esposto alla malattia e alla morte: l’amianto era semplicemente il nome di un materiale resistente al calore. Lì il padre-pittore ha cominciato a morire.
Il figlio ha ereditato un panico che lo inchioda al chiuso, in casa, e dai confini non protetti di quell’esilio spia, a ritroso, il tempo della fabbrica, i sogni che bruciano, l’immaginazione che affonda, il corpo subdolamente offeso di chi ha chiamato “lavoro” quell’inferno.
In fonderia, avvengono esplosioni nei forni che fanno tremare le pareti, vibrare le macchine, vacillare corpi e menti. Tra fragore e fulgore della fiamme, l’individuo smarrisce la coscienza: tutta la sua energia è volta a mantenere il necessario e labile controllo del corpo, a rispettare ritmi, a ripetere gesti che vanno calcolati al millimetro. Il padre soffre: per cultura ancestrale, per orgoglio di povero, accetta il dolore, accetta la condizione servile, accetta la malattia che lo uccide. Trova una ragione di vita, cui si aggrappa disperatamente, nella pittura: ogni pensiero libero, ogni attimo libero viene dedicato a essa, a una pratica di cui non si sente neppure degno (ai propri occhi è un inutile al mondo). E tutto questo è espresso con un linguaggio denso, scabro, ricco di accensioni, potente e potentemente moderno. Valenti (il figlio?) dà voce alla soggettività, pur essendo il suo libro perfettamente e meticolosamente documentato: è la storia di un’anima ingabbiata nella fabbrica fordista. Siamo vicini a certe atmosfere tratteggiate dal Volponi del Memoriale (..)
Ma a poco a poco, nel padre che senza saperlo è sempre in corso di morte, sboccia l’odio, il disprezzo verso tutto e verso tutti, e non solo un odio di classe: e l’odio diventa la redenzione, che lo fa diventare promotore, insieme ad altri, di un Comitato per la difesa della salute degli operai. E qui emerge una bella figura tipica di quegli anni (che non sono solo stati anni di piombo), come tante allora ne produceva il sindacato a livello di base (chi ha vissuto quegli anni si ricorda di quegli uomini e di quelle donne che animavano con straordinaria cultura sociale consigli d’istituto, quartieri, sezioni politiche, manifestazioni): Cesare, che diventa un punto di riferimento non solo per il padre, ma, dopo la morte del padre, anche per il figlio (intellettuale intriso di panico, di vergogna e odiernamente precario) che raccoglierà testimonianze e ne scriverà. Nel libro c’è ancora altro, boschi e torrenti di montagna, un processo che assolve i dirigenti, un coro di figure operaie sinteticamente schizzate, una precisione acribica nel tratteggiare i sintomi oggettivi e soggettivi delle malattie da amianto e da fumi (sulla scia dell’attuale “bioletteratura” che mette al proprio centro la corporeità biologica nelle sue trasformazioni, che sia eccitata o gestante, vecchia o malata). (Ugo Marchetti su L’Indice)
Segnato…. Dopo compro☺
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Vedrai, è un bel romanzo. Buona giornata 🤗
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La tua è un’iniziativa più che lodevole. C’è bisogno di focalizzare l’attenzione sul “Tema lavoro”.
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