Mi rifaccio a quanto detto nel post di ieri, a proposito della strage silenziosa e continua di persone che muoiono al lavoro. Anche oggi un operaio di trentasette anni di Parma ha perso la vita sul lavoro; ho aperto i siti di quattro testate giornalistiche nazionali e non ho trovato la notizia. E’ riportata sulla stampa locale; anche Sky e RaiNews24 ne hanno dato notizia. Ma, al di là di questo, quello che mi lascia allibita è che ci sia una sorta di assuefazione a queste notizie, un po’ come avviene per i femminicidi – anche oggi l’ennesimo. Ci siamo abituati a fare la conta dei morti? Ci va bene così? Non voglio accendere una polemica, ma solo parlare di queste tragiche realtà nella speranza che prima o poi chi ci governa le affronti seriamente.
Tema lavoro. Ecco il libro di oggi:
Ternitti, di Mario Desiati, Mondadori 2012, pagg. 258
È il 1975. Mimì Orlando ha quindici anni quando è costretta a lasciare la Puglia dorata per seguire il padre nella grande fabbrica svizzera che produce lu ternitti: l’eternit, promessa di ricchezza per migliaia di emigranti. Per Mimì quelli al Nord sono gli anni del vetro, del freddo che ghiaccia le cose e le persone. Ma anche quelli della passione segreta per Ippazio, diciotto anni, tra le dita già corrose dall’amianto un fiammifero acceso nella notte per rubare uno sguardo, un istante d’amore…
Anni Novanta. Mimì è di nuovo in Puglia. Ha una figlia adolescente, Arianna, poco più giovane di lei. Ma accanto a loro non ci sono uomini, per Arianna non c’è un padre. Madre anticonformista e leale, compagna indomita per le sue colleghe in fabbrica e per tutti coloro che accompagna fino alla soglia dell’ultimo respiro roso dal mesotelioma da amianto, è una donna che sa parlare con le proprie inquietudini e paure ma anche – ascoltando le voci degli antenati che sempre la accompagnano – guardare al futuro senza piegarsi mai. “Ternitti” in dialetto significa anche tetto, e il destino vorrà che questa parola sia il sigillo di una vita intera: proprio su un tetto, finalmente a contatto col cielo, Mimì saprà riscattare la sua gente e forse anche il suo amore. La vicenda di un popolo tenace, la tragedia del lavoro che nutre e uccide, la meschinità di un uomo e la fierezza di una donna: tutto si compone con la semplice necessità delle umane cose in un romanzo luminoso e maturo.
Il romanzo racconta una delle tragedie silenziose dell’emigrazione italiana: migliaia di lavoratori salentini a partire dai primi anni Sessanta lasciarono la propria terra per raggiungere Zurigo, l’aria di freddo e fumo e le fabbriche di cemento-amianto, che promettevano una vita nuova nascondendone il prezzo. Una storia di donne, amore, riscatto, e insieme pagine di denuncia sociale e testimonianza di una possibile coraggiosa resistenza.
” Tra il 1960 E IL 1980 quasi duemila abitanti tra i comuni del Capo di Leuca hanno lavorato nella fabbrica d’amianto di Niederurnen, nel Cantone Glarus in Svizzera. La maggior parte di loro oggi sono morti o ammalati. Solo in poche decine hanno chiesto pensioni e sussidi o hanno fatto domande di risarcimento. E’ questo il motivo per cui non esistono dati ufficiali di quella che risulta la più grande e silenziosa tragedia dell’emigrazione.” Così scrive Desiati nei ringraziamenti e questo romanzo vuole essere un atto di risarcimento per quelle morti.
Confermo che qualcosa e’ successo anche oggi. Che tristezza. Proprio tragedie come i femminicidi.
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Pistoia, con la Breda, è stata messa molto alla prova dall’eternit… molti nostri concittadini sono morti di mesotelioma, e perfino le mogli di tanti operai, solo per aver scosso le tute dei loro mariti, impregnate di amianto…
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Credo che ancora non si sappia quante siano state le morti legate all’amianto…
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Moltissime, credimi!
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