Non si è mai riusciti a sapere di chi sia stata l’idea del Condominio rosso 101. L’idea che sui giardini di Hamdija, in periferia, si costruissero due edifici a più piani per gli operai e gli insegnanti del centro studi superiori. Perché il Condominio rosso era davvero composto da due palazzi da tredici piani comunicanti che in effetti formano un condominio doppio, di 104 appartamenti, un «villaggio verticale» come lo chiamava costantemente Caka il postino. Oggi il villaggio verticale e sempre più vuoto, solo icore è rimasto dopo la schiusa di tanto male. (..) Numero sfortunato, così tolsero al condominio un piano e chiamarono «galleria» il primo, cosi che il Condominio rosso avesse dodici piani e una galleria, e una terrazza in cima, sopra a tutti i piani. Il capo nel palazzo, zio Meho, prometteva ai ragazzini che se fossero stati buoni avrebbe fatto un cinema sulla terrazza. E i ragazzini gli credevano, aspettavano l’inaugurazione del cinema e stavano buoni. (Pag 37)

L’ascensore di Prijedor, di Darko Cvijetić, Bottega Errante Edizioni 2021, traduzione di Elisa Copetti, pagg. 120

Il romanzo di Darko Cvijetić arriva in Italia grazie a Bottega Errante, casa editrice che ha nel suo catalogo una miniera d’oro di titoli provenienti dall’Europa dell’Est, da cui ho già attinto in passato e che potete trovare riassunti in questo post. Questo libro mi incuriosiva molto, sia per il tema trattato che per la statura del suo autore, e, non ultimo, per l’assurda vicenda della querelle con l’azienda svizzera produttrice di ascensori Schindler.

Darko Cvijetić è uno scrittore di prosa e di poesia, drammaturgo, attore e regista.  È nato nel 1968 a Rudnik – Ljubija nei pressi della città di Prijedor, in Bosnia Erzegovina. Nel 1974 si è trasferito nel condominio 101, dove tuttora vive. Come spiega Edvard Cucek nell’articolo pubblicato su Osservatorio Balcani e Caucaso,

Darko Cvijetić tra l’altro risiede ancora nella sua città natale e non appartiene alla comunità lì maggioritaria, quella serbo-bosniaca. La situazione è peggiorata con il suo ultimo romanzo di prosa, intitolato “Schindlerov lift” (L’ascensore di Schindler) divenuto oggetto quotidiano di scontro tra i vari nazionalismi locali sempre impegnati nell’identificare – nelle proprie fila – esclusivamente le vittime, dimenticando i carnefici.

Cvijetić nel suo romanzo compone 32 frammenti narrativi nei quali irrompono la sua anima poetica e di drammaturgo. Si tratta di quadri, di brevi illuminazioni narrative che esplorano le vite e le storie di coloro che hanno abitato nel Condominio 101. Siamo a Prijedor, nel nord della Bosnia, in una delle zone che durante il conflitto degli anni Novanta ha pagato un alto prezzo in termini di vite umane distrutte, sia in spedizioni dirette e fatali sui luoghi, che nei campi di concentramento intorno alla città; assassinii che hanno riempito le fosse comuni dolorosamente ritrovate a conflitto terminato.

Scorrendo attraverso questi che potremmo definire frammenti interconnessi, si compone via via un microcosmo che vive all’interno del palazzo e che, tuttavia, si fa simbolo di un’intera città, se non di una nazione, quella che ormai non esiste più.

Il Condominio 101 fu costruito negli anni fulgidi dell’era Tito e incarnava il progetto di integrazione jugoslavo: abitato da militari, operai e impiegati ma anche da intellettuali ed artisti, il villaggio verticale era un melting pot anche di appartenenze etniche. Nel grattacielo convivevano serbi, croati, bosgnacchi, ebrei, cristiani e musulmani.

Come in ogni villaggio o quartiere cittadino, tutti si conoscono e spettegolano alle spalle degli altri; si condividono coi vicini gioie e dolori; si festeggiano matrimoni, battesimi e si piangono i morti. Ci si dà una mano e si litiga anche; i bambini giocano spostandosi su e giù per i piani sulla meraviglia delle meraviglie, l’ascensore.

Ma, nel 1992, l’irruzione del conflitto che ha stravolto un intero paese sconvolge anche le vite degli abitanti di questo condominio che, da un giorno all’altro, da vicini di casa, diventano nemici. Iniziano così le irruzioni negli appartamenti, le esecuzioni sommarie e, in tutta la città, il conflitto parla la lingua delle granate che piovono dal cielo, degli agguati, dei massacri. Tutto ciò di cui tristemente si sono riempite le cronache di quegli anni atroci.

Cvijetić con la sua esperienza di drammaturgo crea un montaggio di scene che narrano la vita e la morte che percorrono i piani del palazzo, senza giudicare, piuttosto mettendo in luce quanto le persone siano trascinate da eventi più grandi di loro, dalla paura, dalle debolezze della natura umana che sono le stesse da ogni parte. È scritto in frasi brevi e molto misurate che danno vita ad una prosa poetica, lieve e incisiva.

Dopo gli anni della follia della guerra, la città di Prijedor deve imparare a ricostruire il suo tessuto sociale: ciò che era prima non esiste più, ci sono solo le ferite da curare, per chi è rimasto – costretto o per scelta – e vuole guardare al futuro.

Il romanzo di Cvijetić non vuole rivangare o recriminare sul passato, dove nessuno è solo vittima o solo carnefice, ma, al tempo stesso, non vuole accettare il negazionismo che sembra percorrere la società. Il suo libro offre una catarsi per liberarsi dal passato con consapevolezza, per mettere al sicuro il futuro da vendette o nuovi conflitti, per evitare che, di nuovo, le differenze tra le culture diventino un motivo d’odio.

Il titolo del libro è al centro di una vicenda kafkiana; il titolo originale è Schinderov lift, e, nell’edizione italiana, una nota ci fa subito intendere che l’uso del nome del noto produttore deve avere provocato qualche bega legale. Tornando all’articolo summenzionato, ecco spiegata la vicenda:

Ora infine la vicenda giudiziaria, legata al titolo del libro, che sfrutta evidentemente il potenziale simbolico dello straordinario capolavoro cinematografico di Steven Spielberg “Schindlers List”: se qualcuno pensa che nel grattacielo di Cvijetić l’ascensore fosse stato realmente prodotto da una azienda denominata “Schindler” si sbaglia. Quell’ascensore, ormai incriminato, è stato prodotto da un’azienda belgradase, la David Pajić–DAKA. Ma una ditta Schindler che produce ascensori esiste, ed ha sede in Svizzera. E proprio gli avvocati di quest’ultima hanno inviato – a seguito di un’intervista a Cvijetić pubblicata dallo Spiegel – una lettera all’editore tedesco dello scrittore bosniaco e all’indirizzo di casa dell’autore dove con toni minacciosi si precisa che i loro prodotti, di nicchia nel settore, non sono delle ghigliottine e che non hanno niente a che fare con l’Olocausto o la guerra in Bosnia Erzegovina. Per il momento i rappresentanti legali della rinomata azienda svizzera dall’autore e dall’editore chiedono “spiegazioni valide” sul fatto di aver scelto il nome del loro prodotto come titolo del romanzo, prima di scegliere se procedere o meno in sede giudiziaria. “Speriamo abbiano letto il romanzo prima di avviare questo intervento macchinoso”, concordano Cvijetić e Jergović nei loro commenti.

Al di là dei motivi per cui Cvijetić abbia scelto di usare quel nome, rimane il fatto che proprio l’ascensore è l’asse portante ed emblematico su cui si sviluppano le storie narrate all’interno di questi 32 frammenti narrativi, a partire da quello della bambina Stojanka Kobas che sull’ascensore perde la vita e che i produttori svizzeri hanno ritenuta lesiva del loro nome.

Vi segnalo questa intervista pubblicata su Osservatorio Balcani e Caucaso.

Darko-Cvijetic