Sarajevo, 28 giugno 1914: l’arciduca d’Austria Francesco Ferdinando viene ucciso con un colpo di pistola da Gavrilo Princip. È il casus belli della Grande Guerra, la scintilla che dà inizio al primo dei due conflitti mondiali destinati a insanguinare il Novecento e che segnerà gran parte della successiva storia europea.
L’attentato, di Miljenko Jergović, Nutrimenti editore aprile 2021, traduzione di Ljiljana Avirović, pagg. 192
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L’assassinio dell’arciduca d’Austria, a Sarajevo, nel 1914, ha aperto il crudele XX secolo e ha concentrato in sé gli eventi successivi, dalla Rivoluzione d’Ottobre, attraverso l’ascesa al potere di Hitler, l’Olocausto, i campi di concentramento, lo stalinismo e, via via, fino alla Guerra Fredda. In ognuno di questi passaggi, si sentivano i riverberi del colpo sparato da Gavrilo Princip che ha accompagnato la nascita dell’intera Europa.
In realtà, in quei quattordici anni che separano l’attentato dall’inizio del Novecento, di teste coronate e ministri ne sono caduti parecchi: il re italiano Umberto I, il presidente americano William McKinley, il re Alessandro Obrenović e la regina Draga, il primo ministro greco Deliyannis e due anni dopo il suo collega bulgaro Petkov, il primo ministro egiziano Boutros Ghali Pascià e il primo ministro russo Stolypin, nonché il primo ministro spagnolo Méndez. Insomma, sembrava una moda…
Non sono dunque interessanti Princip e i suoi compagni, i loro romantici capricci sull’unificazione degli slavi meridionali in un’unica nazione? Nessuno dei suoi sogni si è avverato. Se i loro desideri fossero stati soddisfatti, non sarebbero così interessanti. I vincitori hanno le loro vittorie e tutto ciò che resta alle vittime è la letteratura.
Miljenko Jergović racconta un capitolo della storia che è stato spesso indagato ma lo fa cercando di entrare negli aspetti più intimistici e personali, andando a scandagliare le vite e le personalità dei protagonisti: i due attori principali, ma non solo, allargando lo sguardo anche tutti coloro che, direttamente o no, si trovarono compresi in quell’evento. L’autore si intrufola nelle loro vite, nell’ambiente in cui sono nati e cresciuti, nell’educazione che hanno ricevuto, le amicizie che hanno frequentato, gli ideali di cui si sono nutriti. E ciò che emerge sono due personalità diversissime: da un lato il giovane Gavrilo, di umile estrazione ma dotato di talento e intelligenza; dall’altro l’Arciduca Francesco Ferdinando, cresciuto all’ombra dell’uomo forte, in una corte a cui ha opposto la sua scelta sposando la donna che amava.
Gavrilo Princip faceva parte della prima generazione di slavi del Sud che si sarebbe formata sull’esempio della cultura popolare americana. Tra il biliardo e i romanzi gialli nasceva un mondo molto lontano da quell’eroico ragazzo ossessionato dall’epica che non voleva dormire con i turchi. Naturalmente ai liceali era proibito frequentare i caffè e giocare a biliardo, così com’era proibito leggere romanzi (..) Invece di quella americana esisteva una scuola viennese e, con essa, un’auspicabile tradizione popolare. Poi, naturalmente, la fede in un solo Dio – in conformità con una delle quattro leggi religiose bosniache di pari diritto – era non solo auspicabile, ma pure obbligatoria. L’idea di uno Stato plurinazionale, pluriconfessionale, e dell’uguaglianza di tutti gli uomini davanti alla legge, in Bosnia era arrivata come un miracolo insieme all’Austria, inserendosi in un odio ben radicato e zeppo di pregiudizi. Ma anche quest’idea dipendeva esclusivamente da Dio, vale a dire dal rapporto con Lui e dal rapporto con le istituzioni, Sue rappresentanti in terra. Per un infedele, o un ateo, l’Austria-Ungheria non poteva esistere come unità costitutiva, tanto più se quest’idea era basata sulle differenze dei suoi popoli. (pag.10-11)
Gavrilo Princip viene descritto come un giovane casto e idealista, che scrive poesie e patirà in prigione la mancanza dei libri più che gli stenti; dall’altra, un uomo ostinato e poco colto, divenuto erede al trono quasi per caso, che si è inimicato l’imperatore e la corte viennese sposando la donna che morirà insieme a lui nell’attentato.
Si potrebbe affermare che proprio in questo, nel loro rapporto con l’arte, la letteratura e la poesia, ma anche nei confronti dell’esperienza erotica, della propensione all’amore fisico, Gavrilo Princip e Francesco Ferdinando non potessero essere più diversi. Antipodi, i cui destini, sentimenti e visioni del mondo determinavano i punti estremi della loro epoca. (..) Il primo fu un poeta irrealizzato, un vero modernista dal punto di vista letterario e della visione del mondo, che s’ispirava e si beava leggendo i poeti maledetti serbi e croati, (..) ma che, in virtù delle propensioni poetiche e a causa del suo attivismo, aveva giurato a sé stesso di rimanere celibe, imponendolo anche ai suoi compagni come principio rivoluzionario. (..) Invece l’altro era pronto a sacrificare tutto, anche la sua dignità maschile
e principesca, per l’amore di una donna di rango inferiore. A Francesco Ferdinando fu concesso di sposare Sofia Chotek
quando fu chiaro anche al vecchio imperatore che il suo successore avrebbe preferito rinunciare al trono piuttosto che alla sua adorata moglie.
Molte le domande che Miljenko Jergović pone lungo il racconto, cercando le risposte nella ricostruzione delle personalità, degli umori del tempo, delle tensioni che si erano sviluppate a valle delle scelte e azioni dell’impero. Il viaggio era ritenuto importante per riaffermare la potenza della monarchia; da più parti, però, era stato sconsigliato, si temeva per l’incolumità dell’Arciduca. Eppure Francesco Ferdinando decise di andare a Sarajevo, e non da solo. Non aveva la percezione del pericolo? Non credeva ai rapporti che gli giungevano sui malumori che circolavano? Voleva dare prova di forza? Fu la ragion di stato a muovere i suoi passi?
Intorno al fatale e tragico evento, si muove un flusso magmatico di destini – vite di poeti, pazzi, cospiratori, martiri, regnanti, scrittori, assassini, filosofi – che trasforma la ricostruzione dei fatti di Sarajevo in un racconto multiforme, capace di assolvere uno dei compiti privilegiati della letteratura: interrogare la storia per comprendere gli uomini.
Con L’attentato Miljenko Jergović scrive uno dei suoi romanzi più personali, implicito omaggio alla sua città natale, Sarajevo, storia di una terra divisa e martoriata, la Bosnia, ritratto di una generazione perduta di ribelli e sognatori, la stessa di cui fece parte anche il premio Nobel Ivo Andrić.
“Jergović ricostruisce con affascinante facilità il giorno fatale in cui il secolo del caos ebbe realmente inizio (e, siamo onesti, non è ancora finito), combinando la forma del thriller, la polposa morbidezza delle storie di perdenti e antieroi, il sapore del romanzo on the road e il succo del saggio politico e del reportage giornalistico”.
Jutarnji list
Miljenko Jergović è nato a Sarajevo nel 1966, ma risiede da molti anni a Zagabria. È autore di una trentina di opere tra romanzi, raccolte di racconti e antologie poetiche, ed è considerato uno dei maggiori scrittori di area slava, tradotto e premiato in numerosi paesi. Molti suoi libri sono stati pubblicati in Italia, tra cui Le Marlboro di Sarajevo, I Karivan, Buick Riviera, Freelander e Volga, Volga; ha anche ricevuto il premio Grinzane Cavour per Mama Leone. Da Buick Riviera è stata tratta nel 2008 la pellicola omonima, premiata come miglior film al Festival del cinema di Sarajevo e come miglior sceneggiatura al Festival del cinema di Pola. Con Ruta Tannenbaum ha vinto il premio Meša Selimović per il miglior romanzo scritto in lingua bosniaca, croata, serba e montenegrina.
Ho quella domenica del Corriere… Non originale dell’epoca ma lo avevano regalato anni fa col giornale… 😄😍
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Sono prime pagine storiche 👌
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Grazie anche per l’ excursus storico. Buona giornata, Pina! 🙂
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In effetti l’autore spiega molto bene il contesto e soprattutto approfondisce l’ambiente e le personalità dei protagonisti di quei fatti. Si legge come un romanzo, basato su fatti reali.
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bel post!
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Grazie, davvero! Un bellissimo libro per approfondire i retroscena e le personalità dei protagonisti. 💙
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