Ambulanti, vagabondi, lavoratori stagionali e anime inquiete ci sono sempre stati. Ma adesso, nel secondo millennio, un nuovo tipo di tribù errante sta emergendo, Persone che non avevano mai immaginato di diventare nomadi si mettono in viaggio. Abbandonano case e appartamenti tradizionali per vivere in quelli che alcuni chiamano “immobili su ruote” – furgoni, camper di seconda mano, scuolabus, pick-up camperizzati, roulotte da viaggio, e semplici vecchie sedan. Si allontanano dalle scelte impossibili che quello che un tempo era il ceto medio si trova a dover fare. Decisioni tipo: Meglio mangiare o andare dal dentista? Pagare il mutuo o la bolletta dell’elettricità? Pagare una rata dell’automobile o comprare le medicine? Coprire l’affitto o i prestiti studenteschi? Comprare vestiti caldi o benzina per andare al lavoro?
Nomadland. Un racconto d’inchiesta, di Jessica Bruder, Edizioni Clichy 2020, traduzione di Giada Diano, pagg. 383
Nomadland è un “racconto d’inchiesta”, il lavoro accurato e accorato di una giornalista sugli americani in età matura, a basso reddito che si guadagnano da vivere guidando da un posto all’altro per un lavoro stagionale. Ma è anche una specie di romanzo itinerante, dove i protagonisti sono persone vere, a cui si finisce inevitabilmente per affezionarsi.
Dall’inizio della sua immersione in una sottocultura per lo più invisibile, l’autrice chiarisce che i nomadi, molti dei quali anziani, rifiutano di considerarsi “senzatetto”. Piuttosto, si riferiscono a se stessi come “senza casa”, in quanto non sono più gravati da pagamenti ipotecari, riparazioni e altri inconvenienti, e discutono di “proprietà su ruote” invece di proprietà immobiliari. La maggior parte di loro non ha perso la casa volontariamente, essendo stata vittima di frode ipotecaria, perdita del lavoro, debito sanitario, divorzio, alcolismo o una combinazione di questi e altri fattori. Di conseguenza, dormono nelle loro auto o van o in camper acquistati a buon mercato e cercano di trarre il meglio dalla situazione.
Ma per loro – come per chiunque – sopravvivere un basta. Quindi, quello che è cominciato come un tentativo disperato, è diventato un grido di guerra per qualcosa di più grande. Essere umani significa agognare qualcosa in più della mera sussistenza. Abbiamo bisogno di speranza, tanto quanto ne abbiamo di cibo e riparo.
Come scrive un esperto nel libro, lo “sgabello a tre gambe” della previdenza sociale – previdenza sociale, pensioni private e risparmi personali – ha lasciato il posto a “un pogo stick” – avete presente quei bastoni con manubri e una molla all’estremità inferiore con cui saltellano i bambini? -, con la previdenza sociale come unica gamba “traballante”. Come le elezioni hanno chiarito, l’erosione del lavoro in fabbrica sta mettendo a dura prova molti americani. In questi giorni, molti lavori dignitosi si possono trovare ma in città con affitti assurdamente alti e dove i servizi sono tutti a carico dei cittadini.
Bruder ha viaggiato con alcuni dei senza una casa fissa – cosiddetti workampers – per anni mentre faceva ricerche e scriveva il suo libro. La giornalista costruisce la narrazione attorno a una nomade particolarmente intraprendente, l’anziana Linda May, che è vivacemente resa grazie ai profondi rapporti dell’autrice. Quando incontriamo May, sta lavorando come host di un campeggio, controllando i campeggiatori, spalando i resti di cenere dei falò e pulendo i bagni.
Linda May e i suoi compagni di viaggio, dopo anni in cui hanno svolto svariati lavori, alcuni dei quali anche complessi, tendono a trovare lavori fisicamente impegnativi e a basso salario nei magazzini di Amazon, che cercano aggressivamente lavoratori stagionali attraverso il programma di reclutamento chiamato “CamperForce program”, o nei campeggi, o nei siti di raccolta delle barbabietole da zucchero o fragole e simili. Da una costa all’altra, fin negli stati più interni, si incontra questa forza lavoro.
Per alcuni camperisti, l’Ibuprofene non è sufficiente. Karren Chamberlen, un’ex conducente di autobus di sessantotto anni, con due protesi all’anca, mi ha detto di avere abbandonato Camperforce dopo cinque settimane, perché le sue ginocchia non erano in grado di sostenere quelle lunghe ore a camminare sul cemento. (..) Amazon aveva dei dispenser a muro in magazzino che offrivano antidolorifici da banco gratuiti.
I nomadi spesso disperati costruiscono comunità ovunque atterrano, offrendo consigli per superare problemi comuni, condividere cibo, riparare veicoli, consigliarsi a vicenda durante periodi di depressione e stabilire una mutua assistenza per la ricerca di potenziali datori di lavoro.
Molto di quello che ho trovato faceva sembrare il workamping uno stile di vita gioioso, o addirittura un hobby eccentrico, piuttosto che una strategia di sopravvivenza in un momento in cui gli americani non potevano più permettersi un alloggio tradizionale e lottavano per assicurarsi un salario di sussistenza.
Incontriamo anche, in vari campeggi, un musulmano che ha perso il suo allevamento di capre halal e parcheggia il suo furgone in direzione della Mecca; un libraio nudista; e un giovane transgender. La maggior parte è ottimista e allegro. Trovano forza l’uno nell’altro e costruiscono amicizie durature. Alcuni hanno una visione più sobria delle loro circostanze. Un uomo anziano ha un piano di pensionamento particolarmente triste: quando è troppo infermo per lavorare, entrerà nel bosco e si sparerà.
Jessica Bruder, che insegna presso la Columbia University Graduate School of Journalism, scrive con tono imparziale, evitando la polemica, costruendo un racconto di inchiesta. Si inserisce nella narrazione comprando un furgone (e lo chiama Halen, alludendo alla band Van Halen). Descrive di essere stata svegliata da un agente di polizia e di notti gelide che congelano i liquidi nelle tubazioni del furgone. Lavora in una fabbrica di barbabietole da zucchero nel North Dakota. È un lavoro pesante e lei cade a letto dolorante e stanca dopo una giornata di dodici ore. Nonostante volesse resistere, per rendersi conto sulla propria pelle di come fosse, lascia dopo pochi giorni, non potendo fare a meno di mettere in evidenza che quegli stessi lavori vengono svolti da persone che hanno largamente superato la sessantina.
Bruder racconta una storia avvincente e illuminante del ventre oscuro dell’economia americana, che prefigura il futuro precario che potrebbe attendere molti di noi. Allo stesso tempo, celebra l’eccezionale capacità di recupero e creatività di questi americani per eccellenza che hanno rinunciato al normale radicamento per sopravvivere.
Jessica Bruder è una giornalista che si occupa di sottoculture e questioni sociali. Per scrivere Nomadland ha vissuto per mesi in un camper, documentando le vite degli americani itineranti che hanno abbandonato le loro case per vivere la strada a tempo pieno, unica via per non essere travolti da un’economia sempre più precaria, nella completa assenza di un welfare state. Il progetto ha richiesto tre anni e più di quindicimila miglia di guida – da costa a costa, dal Messico al confine canadese. Nomadland ha vinto il Discover Award 2017 ed è stato finalista del J. Anthony Lukas Prize e dell’Helen Bernstein Book Award. Dal libro è tratto l’omonimo film di Chloé Zhao, interpretato e prodotto da Frances McDormand, vincitore del Leone d’Oro alla 77a Mostra del Cinema di Venezia e del Premio Oscar 2021 come Miglior film, Migliore attrice protagonista a Frances McDormand, Miglior regista a Chloé Zhao.
Chissà che bello deve essere
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E’ davvero un bel libro, assolutamente da leggere per capire quel tipo di realtà. E poi è scritto da giornalista sì, ma è molto coinvolgente perché racconta di persone vere e te le fa sentire concretamente.
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Lo comprerò certamente Pina , grazie
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Poi fammi sapere 👍👍👍
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Sicuramente Pina, appena lo acquisterò
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