So già che mi direte che le usate, che le incontrate spesso, che non sono in via di estinzione. Obiezione accolta. Ma lo scopo oggi è quello di augurare loro lunga vita nel futuro, perché trovo che siano due termini davvero affascinanti.

Farlocco, /far·lòc·co/: riferito a persona, sciocco, sprovveduto, facilmente ingannabile; per estensione falso, taroccato, di poco valore.

Adoro questo aggettivo, che tra l’altro ha una etimologia originale tipo leggenda metropolitana. La voce farlocco si diffonde in italiano intorno agli anni ’50 del XX secolo dal gergo delle borgate romane tramite i film e i romanzi di P. P. Pasolini; nel glossario di Una vita violenta gli si dà il significato di “straniero”. Si tratta di una voce di origine gergale, non dialettale, in quanto usata in ambito carcerario e dagli scippatori per riferirsi alle potenziali vittime (solitamente turisti), il cui atteggiamento tipico è quello di individui distratti dal contesto situazionale. Prima di entrare nell’italiano la voce non era impiegata solo in area romana, poiché è documentata anche nel Settentrione: infatti nella forma ferloch è attestata già nell’Ottocento in Piemonte, dove aveva il significato di chiacchierone, ciarlone … che favella molto e senza fondamento. Di qui poi il significato di gonzo, sprovveduto, persona che è facile truffare o derubare.

Farlocco è un termine dispregiativo generico di amplissimo respiro e decisamente bonario, un jolly da giocarsi in molte occasioni, che può essere usato con i significati e nei contesti più svariati. A differenza di altri termini più specifici, farlocco non si concentra su un singolo tipo di inganno o falsità, ma piuttosto su una generica mancanza di autenticità, validità o intelligenza.

Un tipo non particolarmente furbo potrà essere definito farlocco, così come un progetto non geniale, un documento falsificato, un esame-truffa o una teoria scientifica campata in aria. Pur essendo un termine bonario, farlocco non è completamente innocuo. Implica una mancanza di serietà, competenza o validità. Tuttavia, il suo tono leggero e spesso ironico lo rende meno offensivo di altri termini più diretti.

Lestofante, /le·sto·fàn·te/: s. m. e f. [comp. di lesto «accorto» e fante nel senso di «garzone»]. Persona di pochi scrupoli, abile nell’ingannare altri con parole; imbroglione, disonesto.

Il termine lestofante evoca un’immagine antica, quella del servo furbo che, con astuzia e sotterfugi, riesce a mettere in piedi mille imbrogli per arricchirsi. Una figura centrale nel teatro di ogni epoca, il lestofante è un personaggio che, pur nella sua disonestà, suscita una certa simpatia per la sua capacità di arrangiarsi e di sfruttare le debolezze degli altri. Anche se non è difficile immaginare contesti in cui dare del lestofante a qualcuno, certamente il tono rétro di questa parola ne invita l’uso ironico, colorato di ridicolo. Il lestofante, più che essere il ladro destro che sfila il portafoglio dalla tasca, è quello che infila una moneta nel vaso delle offerte ripescandone una manciata; si ingegnerà per vendere rottami come se fossero prestigiosi pezzi di modernariato; organizzerà soggiorni in luoghi improbabili vendendoli come rigeneranti posti da sogno.

La cifra del lestofante è la fantasia della mossa acuta e smaliziata. È un personaggio che non si accontenta di piccoli furti, ma che mira a grandi colpi, mettendo in atto truffe elaborate e ingegnose. La sua astuzia è tale da renderlo quasi invincibile, capace di superare ogni ostacolo e di uscire indenne da ogni situazione.

Nonostante la sua disonestà, il lestofante è un personaggio che fa sorridere. La sua capacità di inventare nuovi imbrogli, la sua faccia tosta e la sua parlantina sciolta lo rendono un personaggio divertente e accattivante. Il lestofante è un po’ come il gatto con gli stivali delle favole: un personaggio che, pur essendo un imbroglione, riesce a farsi amare dal pubblico.

Che dite, meritano un posto di primo piano anche in futuro?