Portofino blues, di Valerio Aiolli, Voland 2025, pp. 368
Il nuovo romanzo dello scrittore Valerio Aiolli, “Portofino Blues” (Voland, 2025), riapre uno dei casi di cronaca nera più clamorosi degli ultimi decenni. L’8 gennaio 2001, in una Portofino sferzata da vento e burrasca, scompare la contessa Francesca Vacca Graffagni Agusta, figura di spicco del jet set internazionale, dalla sua villa di Altachiara. Diciotto giorni dopo, due escursionisti francesi avvistano un cadavere, che solo in seguito verrà identificato come quello della sfortunata contessa. Disgrazia, suicidio o omicidio? La vicenda, archiviata nel settembre 2002 come disgrazia o suicidio, aveva già riempito pagine di giornali, riviste di gossip e salotti televisivi, alimentando dubbi e speculazioni.
Tuttavia, il pregio di Aiolli sta nel non limitarsi a ripercorrere i fatti. Portofino Blues è un’immersione profonda nelle vite delle persone coinvolte – Francesca, la famiglia Agusta, Maurizio Raggio, Tirso Chazaro, Susanna Torretta – e nei retroscena di un’epoca. Il romanzo svela le cene degli Agusta con lo Scià di Persia per la vendita di elicotteri, gli anni di Tangentopoli, il tesoro di Craxi custodito da Maurizio Raggio, la fine della Prima Repubblica e l’alba di un nuovo capitolo della storia italiana, dove, citando Tomasi di Lampedusa, “se si vuole che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi.”
L’opera di Aiolli è molto più di un semplice true crime. Delinea un intero mondo, quello del jet set, ma anche la sete di rivalsa che animava l’ambiente circostante la contessa. Il grande merito del libro è la sua capacità di contestualizzare e raccontare storie nella storia, come una grande matrioska narrativa. È una narrazione stratificata, ricca di livelli: temporali, geografici, sociali, psicologici, economici, architettonici ed esistenziali. La prosa alterna con maestria diversi punti di vista, documenti e dichiarazioni autentiche, costruendo un mosaico di voci e prospettive.
Portofino Blues si muove con il ritmo serrato del noir, ma possiede al contempo l’ampio respiro di un romanzo storico e sociale. La scrittura richiama il giornalismo investigativo, con una precisione quasi documentaristica, ma lascia ampio spazio all’evocazione e all’introspezione.
E proprio come la musica blues, il romanzo di Aiolli ha un andamento malinconico ed evocativo, trasmettendo i sentimenti e le emozioni dei protagonisti con una musicalità che ricorda il flusso del blues, senza mai ergersi a giudice. Aiolli non pretende di possedere la verità sulla fine della contessa Vacca Agusta, ma il suo bel romanzo ci offre uno spaccato autentico di un mondo solo apparentemente dorato.
Valerio Aiolli è nato nel 1961 a Firenze, dove vive. Ha esordito nel 1995 con la raccolta di racconti Male ai piedi. Il suo primo romanzo, Io e mio fratello (E/O, 1999), è stato tradotto anche in Germania e Ungheria. Sono seguiti Luce profuga (E/O, 2001), A rotta di collo (E/O, 2002), Fuori tempo (Rizzoli, 2004), Ali di sabbia (Alet, 2007), Il sonnambulo (Gaffi, 2014) e Il carteggio Bellosguardo (Italo Svevo Edizioni, 2017). Per Voland ha pubblicato Lo stesso vento nel 2016 e Nero ananas nel 2019, con il quale è stato selezionato tra i dodici candidati del Premio Strega.


Sono stata qualche tempo fa alla presentazione di questo libro, che sarà una delle mie prossime letture. Aiolli è bravo, di lui ho letto varie cose, non tutte ugualmente buone, comunque un autore certamente interessante.
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Si, infatti, anch’io lo trovo interessante per lo stile ibrido, tra romanzo, inchiesta, crime. Con solide basi fattuali, riesce però a dare il passo del romanzo d’inchiesta, avvincente e stilisticamente apprezzabile.
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