Una vita, ancora, di Theodor Kallifatides, Voland edizioni 2024, traduzione di Carmen Giorgetti Cima, pp. 128
Fu uno di quegli attimi in cui il tempo si ferma oppure si comprime per intero nel presente. Così succede anche con la scrittura. Una sensazione di simultaneità della vita che provoca una vertigine controllata. Mi mancava terribilmente.
Pag. 106
Una vita, ancora di Theodor Kallifatides è un romanzo breve ma profondamente toccante che esplora temi universali come la memoria, l’invecchiamento, il rapporto con la scrittura e il significato della vita stessa. Kallifatides, autore svedese di origine greca, attinge alla sua esperienza personale per regalarci una riflessione intima e sincera che risuona a lungo dopo la lettura.
Il fulcro narrativo ruota attorno al protagonista, uno scrittore anziano che, improvvisamente, si trova incapace di scrivere. Questa crisi creativa lo spinge a confrontarsi con il proprio passato, a ripercorrere i ricordi e a interrogarsi sul senso di ciò che ha vissuto e creato. Non è solo un blocco dello scrittore, ma una vera e propria crisi esistenziale, un interrogarsi sulla propria identità e sul proprio scopo quando la facoltà più distintiva, quella che lo ha definito per una vita, sembra venir meno.
La sua vita, fino a quel momento scandita dal ritmo della scrittura e dalla disciplina intellettuale, viene improvvisamente sconvolta da un evento che per uno scrittore è forse il più temibile: non riesce più a scrivere. Non è solo una mancanza di ispirazione passeggera, ma una vera e propria aridità, un vuoto che lo paralizza e mette in discussione l’essenza stessa della sua identità.
Questa incapacità di mettere una parola dopo l’altra diventa il catalizzatore di una profonda crisi esistenziale. Il protagonista si ritrova a confrontarsi con il proprio corpo che invecchia, con la mente che talvolta vacilla, e con la sensazione che la sua ragione di esistere, il suo mestiere e la sua passione, stiano svanendo. La scrittura non è più un atto spontaneo e liberatorio, ma un peso, un’impossibilità frustrante.
Da questo punto di partenza, la trama si sviluppa attraverso una serie di riflessioni e flashback. Non c’è una trama tradizionale con eventi esterni complessi, quanto piuttosto un viaggio interiore. Il protagonista inizia a ripercorrere la sua vita, non in modo lineare e cronologico, ma per associazioni di idee, ricordi fugaci e improvvise illuminazioni.
La questione era come sarebbe stato se avessi cercato di scrivere in reco. Che cosa ricordavo, che cosa avevo dimenticato, che cosa forse era andato perduto per sempre? Mi sembrava ancora più difficile ritrovare il mio greco che continuare a vivere una vita incerta con lo svedese.
Pag. 90
Questi ricordi lo riportano indietro nel tempo, alla sua infanzia in Grecia, un’infanzia segnata dalla guerra, dalla povertà ma anche da un forte legame con la terra e la famiglia. Emergono figure significative: i genitori, i nonni, gli amici, i vicini di casa, tutti personaggi che hanno contribuito a formare l’uomo e lo scrittore che è diventato. Questi frammenti del passato greco si alternano a ricordi della sua vita in Svezia, il paese che lo ha accolto, dove ha studiato, ha fondato una famiglia e ha costruito la sua carriera letteraria. Si toccano i temi dell’immigrazione, dell’adattamento a una nuova cultura, della nostalgia per la terra d’origine e della costruzione di una nuova identità.
Il romanzo esplora il rapporto dello scrittore con la memoria stessa: come funziona, cosa decidiamo di ricordare e cosa invece scompare, come i ricordi si trasformano nel tempo. La memoria non è un archivio statico, ma un processo dinamico, spesso ingannevole, ma fondamentale per definire chi siamo.
Un altro tema centrale è la natura della creazione artistica e il ruolo dello scrittore. Se non si riesce più a scrivere, si è ancora uno scrittore? E cosa significa lasciare un’eredità? Il protagonista si interroga sul valore delle sue opere passate e sul senso di continuare a vivere quando il suo “strumento” principale sembra essersi rotto.
Oltre alle profonde riflessioni personali, Kallifatides esplora anche temi sociali e politici di grande attualità. L’autore si interroga sul dilemma della democrazia e sui paradossi che possono emergere: come può un sistema democratico tutelarsi se un partito, democraticamente eletto, persegue l’obiettivo di abolire le stesse libertà che lo hanno portato al potere? Questa inquietante questione apre una più ampia riflessione sulla libertà delle idee e la loro espressione, sul ruolo della cultura nella società e sulle devastanti conseguenze della guerra, temi che risuonano con l’esperienza di vita dell’autore e con la storia contemporanea.
Una volta, molto tempo fa, scrissi che l’uomo ha bisogno di trovare un senso nella vita, non tanto per vivere ma per poter morire. Può darsi che sia onorevole morire per ciò in cui si crede, ma non lo è uccidere altri per questo.
Pag. 53
Nonostante la malinconia intrinseca al tema dell’invecchiamento e della perdita, il romanzo non è privo di momenti di inaspettata bellezza e lucidità. Il protagonista trova conforto nella contemplazione della natura, nei piccoli gesti quotidiani, nelle interazioni con le poche persone che ancora lo circondano. C’è una riscoperta del piacere di vivere nel presente, anche senza la frenesia della produzione letteraria.
Verso la fine, il romanzo non offre una soluzione semplicistica al “blocco” dello scrittore, né una guarigione miracolosa. Piuttosto, suggerisce una trasformazione, un’accettazione e forse una nuova forma di comprensione del mondo e di sé stessi. La “vita, ancora” a cui il titolo allude non è necessariamente un ritorno alla vita di prima, ma l’affermazione che la vita continua, anche in forme diverse, e che c’è sempre qualcosa da scoprire, da imparare, da “scrivere” in un senso più ampio e metaforico. È un invito a trovare significato e bellezza anche nella fragilità e nella vulnerabilità.
Una vita, ancora è un libro che parla a tutti coloro che si sono interrogati sul significato della propria esistenza, sul potere dei ricordi e sul valore della creatività. È un invito a riflettere su come la vita ci modelli e su come noi, a nostra volta, possiamo dare forma ad essa, anche di fronte alle sfide che l’età e il tempo ci presentano. Un’opera che, pur nella sua brevità, lascia un’impronta duratura, spingendoci a guardare con occhi nuovi il nostro “ancora un’altra vita” da vivere.
Qui potete leggere l’incipit del romanzo.
Pluripremiato e prolifico autore, Theodor Kallifatides è nato in Grecia nel 1938 e nel 1964 è emigrato in Svezia, dove vive tuttora. Dopo gli studi in filosofia all’Università di Stoccolma, ha dato avvio alla sua produzione letteraria, che comprende oggi più di quaranta titoli, tra narrativa, saggistica e poesia, pubblicati in tutto il mondo. Ha diretto un film, firmato sceneggiature e tradotto numerosi autori, tra cui Ghiannis Ritsos in svedese e Ingmar Bergman in greco.


Interessante. Grazie.
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grazie a te!
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sembra molto interessante, sia come studente di diciamo scrittura sia per come sembra proporre tali temi
e la copertina è stupenda, ci sta benissimo coi temi che hai citato 🙂
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In effetti la copertina è una delle più belle in circolazione. Una cifra distintiva di Voland. Il libro è molto riflessivo e stimolante.
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