Elisabetta Rasy, figura poliedrica e raffinata del panorama letterario italiano, torna in libreria con Perduto è questo mare (Rizzoli, pp. 240), memoir, romanzo biografico e autobiografico, che le è valso la prestigiosa candidatura al Premio Strega 2025. Con la sua consueta eleganza stilistica e la profondità di sguardo che caratterizza tutta la sua produzione, Rasy ci conduce in un viaggio intimo e struggente attraverso il tempo e i labirinti della memoria.
Non un viaggio fisico, bensì un’immersione nelle pieghe del suo passato, un tentativo di ricucire i frammenti sparsi di una vita, di un amore perduto, di un’identità che si è modellata attraverso le esperienze e le perdite. Il mare, elemento evocato sin dal titolo, non è solo uno sfondo geografico ma una metafora potente dell’oblio e del ricordo, del flusso ininterrotto della vita e della sua inesorabile erosione. Le tessere di un mosaico esistenziale si ricompongono attraverso flashback, riflessioni e un dialogo silente con i fantasmi che popolano la sua mente, offrendo al lettore uno spaccato commovente e profondamente umano.
La storia ruota attorno a Vittoria, una donna matura che, in seguito alla morte della madre, si trova a dover affrontare i segreti e le verità non dette che hanno caratterizzato la sua famiglia. Il cuore della narrazione è la riscoperta del rapporto tra Vittoria e sua madre, un legame sempre stato difficile e segnato da incomprensioni e silenzi. Attraverso flashback e ricordi, Vittoria ripercorre la vita della madre, una figura enigmatica e sofferente, e cerca di comprendere le ragioni del suo comportamento e delle sue scelte, spesso dolorose.
Un elemento centrale della trama è il mistero che avvolge la figura di Marco, il padre di Vittoria, morto quando lei era ancora bambina. La madre ha sempre mantenuto un riserbo quasi impenetrabile sulla sua vita e sulla sua morte, lasciando Vittoria con molte domande irrisolte. Man mano che Vittoria scava nel passato, emergono verità scomode e inaspettate riguardo alla relazione dei suoi genitori e agli eventi che hanno plasmato le loro vite.
Il padre è profondamente legato a Napoli, una città che ha amato ma che allo stesso tempo lo ha “ammaliato e respinto”, scosso e ferito da intimi segreti. La sua incapacità di lasciare la città, a differenza della figlia e di La Capria, lo rende una figura ancor più emblematica di un certo immobilismo e di una sofferenza nascosta.
Elisabetta Rasy ha dichiarato che nel romanzo ha voluto finalmente affrontare il fantasma di suo padre, interrogandosi sul loro rapporto. Richiama figure come Kafka e il suo “Lettera al padre”, e Enea con Anchise, suggerendo un’esplorazione del rapporto padre-figlia e del peso dell’eredità paterna. Nonostante la sua fragilità e i suoi lati in ombra, l’autrice si impegna a raccontare anche i lati solari del padre.
Raffaele La Capria è una figura di enorme importanza nel romanzo, non solo per il legame personale con l’autrice, ma anche come guida e ispirazione per la protagonista e per la narrazione stessa. L’inizio del libro, con la notizia della sua morte, funge da catalizzatore per il viaggio nella memoria di Vittoria.
I rapporti tra Elisabetta Rasy e Raffaele La Capria sono descritti come un’amicizia profonda e complessa. La Capria è presentato come un “maestro di stile e amico di una intera vita”. Nonostante fosse riconosciuto come un maestro, il suo modo di porsi era discreto e la Rasy lo descrive come fraterno, accomunati da una certa malinconia e dalla sensazione di essere orfani (entrambi “esuli” da Napoli.
Un elemento cruciale della loro amicizia è il legame con Napoli. Entrambi hanno vissuto un distacco obbligato dalla città: Rasy da bambina e La Capria da giovane uomo. Questa “Napoli perduta” e il “mare perduto” sono il cemento della loro relazione e un tema centrale del romanzo, che riprende una citazione struggente dello stesso La Capria. La loro amicizia era caratterizzata da “la più assoluta confidenza intrecciata alla più assoluta reticenza”. Questo indica una profonda comprensione reciproca che non necessitava di essere espressa a parole. Rasy sottolinea che il rapporto con La Capria non era di tipo paterno o filiale, ma piuttosto un legame unico e autentico basato sulla condivisione di un vissuto comune e di una sensibilità simile. La Capria funge da una sorta di “Virgilio” per Vittoria (e per la stessa Rasy), accompagnandola nel suo “viaggio della vista” nel passato e aiutandola a guardare il padre in modo nuovo. La sua figura non è posta in contrapposizione al padre, ma piuttosto in parallelo, mostrando come entrambi siano stati figure complesse, con luci e ombre.
In sintesi, il padre rappresenta il legame di sangue e un passato misterioso e doloroso, mentre La Capria incarna un legame elettivo, di affinità intellettuale e malinconia condivisa, che permette a Vittoria di rileggere e dare un senso alla sua storia familiare.
La scrittura di Elisabetta Rasy si conferma, anche in quest’opera, di una limpidezza cristallina e al tempo stesso di una densità emotiva notevole. La prosa è cesellata, attenta alla musicalità della frase, capace di evocare atmosfere con poche, calibrate pennellate. Rasy scava nell’animo umano con delicatezza ma senza reticenze, affrontando temi universali come la perdita, il rimpianto, la resilienza e la ricerca di un senso nel divenire. Spicca la capacità dell’autrice di creare un’atmosfera sospesa, quasi onirica, in cui il lettore è invitato a perdersi per ritrovarsi. La sua scrittura è capace di toccare corde profonde senza mai cadere nel sentimentalismo, mantenendo sempre un’eleganza che la distingue.
Elisabetta Rasy è una figura di spicco nel panorama letterario italiano, conosciuta non solo come scrittrice ma anche come saggista e critica letteraria. La sua produzione è vasta e variegata, spaziando dalla narrativa alla saggistica, spesso con un’attenzione particolare alle figure femminili e alle dinamiche relazionali. Opere precedenti come Le disobbedienti, Memorie di una lettrice o Trappole d’amore hanno già dimostrato la sua acuta capacità di osservazione e la sua raffinata intelligenza narrativa. La sua profonda conoscenza della letteratura e la sua sensibilità la rendono un’autrice capace di affrontare temi complessi con una maestria rara, e Perduto è questo mare si inserisce perfettamente in questo percorso, aggiungendo un altro tassello prezioso alla sua già ricca bibliografia.
Perduto è questo mare è un romanzo che commuove e fa riflettere. È un’elegia alla memoria, una meditazione sulla caducità della vita e sulla forza inestinguibile dell’amore. Un libro consigliato a chi ama le storie che scavano nell’animo umano, a chi è disposto a lasciarsi trasportare da una prosa avvolgente e a chi cerca nella lettura una profonda risonanza emotiva. Un’opera che, senza dubbio, lascerà un segno nel cuore dei suoi lettori.

